15 settembre 2013: La “scuola” del Convento Sant’Agostino di Bergamo
L’arch. Gianmaria Labaa, che cura la rubrica “La Scuola di Bergamo” per La Rivista di Bergamo, rivista trimestrale edita da Grafica & Arte (Bergamo), mi ha chiesto lo scorso mese di maggio un articolo per la rubrica. L’articolo appare in questi giorni sul n. 75, Nuova Serie, alle pp. 57-58. Ho preso spunto dalla ricorrenza del IV centenario della nascita di padre Donato Calvi (1613-1678) per discorrere brevemente della tradizione di studi che si è venuta consolidando nel Convento Sant’Agostino di Bergamo a partire dalla seconda metà del XV secolo, dopo che fu introdotta nel Convento la riforma dell’Osservanza agostiniana per merito dei primi seguaci di fra Rocco da Pavia. Riporto qui il testo dell’articolo.
Presso il Convento S. Agostino di Bergamo, della Congregazione agostiniana di Lombardia, vi è sempre stata, sin dalla fondazione, una scuola di retorica, filosofia e teologia per i novizi. Ma non è di questa scuola che voglio brevemente parlare. Tra XV e XVI secolo si sviluppò nel Convento, tra i più prestigiosi della Città, una scuola non di tradizionali aule con docenti e programmi, ma di pratiche di studio e di divulgazione dei saperi, condivise e ispirate a precisi modelli, una scuola espressione di un clima e di un tono intellettuale che hanno caratterizzato la vita del Convento in Età moderna.
Due furono i modelli. Giacomo Filippo Foresti, che pubblicò nel 1483 aVenezia il Supplementum Chronicarum, una ambiziosa storia dei principali avvenimenti del mondo dalla Genesi ai suoi giorni; e Ambrogio da Calepio, che pubblicò nel 1502 a Reggio Emilia il famoso Dizionario latino, universalmente conosciuto come Calepino. Ambedue le opere ebbero numerose edizioni in Europa, il Calepino addirittura sino alla metà del Settecento.
Perché dico che furono modelli per il formarsi nel Convento di una scuola? Per la presenza, nella loro azione, di quattro inscindibili condizioni, che ritengo necessarie come le strutture portanti di un edificio: il comune metodo di ricerca, il valore accordato alla biblioteca come fonte e luogo imprescindibile per gli studi, la volontà di divulgare i risultati acquisiti mediante la nuova tecnica tipografica, il costituirsi nel Convento di una tradizione. Sia per Foresti che per Calepio si trattò di lavori eruditi che si fondavano sulla raccolta sistematica e ragionata di notizie storiche nel primo caso, di lemmi latini nel secondo: lavori che richiesero anni di pazienti consultazioni, condotti da menti che alla elaborazione teorica preferivano più umili, ordinate compilazioni, alle trattazioni dottrinarie l’elencazione di fatti e di dati concreti. La biblioteca del Convento, avviata su basi nuove e moderne da Foresti, poi costantemente ampliata ed arricchita, fu pensata e voluta come strumento funzionale alla ricerca; mentre l’edizione tipografica fu vista da ambedue gli autori come il naturale sbocco divulgativo delle loro ricerche. Nel Convento venne pure presa in considerazione l’idea di installarvi un’officina tipografica. Oggi si direbbe che vi si coglieva l’importanza delle nuove tecnologie. Si trovarono tipografi fuori Bergamo, ma furono gli autori agostiniani a stendere le meticolose condizioni del contratto.
Sulla scia di queste luminose origini si consolidò nel Convento una tradizione, che è la più solida testimonianza dell’efficacia di una scuola. Chi, dopo un secolo e mezzo, si sentì parte di questa tradizione fu padre Donato Calvi (1613-1678), che arricchì notevolmente la biblioteca e ne compilò il catalogo. A partire dai primi anni Sessanta, dopo che già aveva dato alle stampe diversi lavori, progettò di comporre un’Effemeride (che uscirà a stampa a Milano in tre volumi negli anni 1676-1677) di fatti accaduti in Bergamo e suo territorio, ordinandoli secondo i giorni del calendario dal 1° gennaio al 31 dicembre. Comporre effemeridi era una moda del tempo. Diversi eruditi vi si erano già cimentati. Le intenzioni erano buone: raccogliere memorie patrie che testimoniavano l’antichità della propria città, concetto cui si connetteva, in quel momento, il valore di nobiltà; disporre le notizie raccolte in una forma che ne esaltasse la varietà, la curiosità, la meraviglia, la sorpresa, la singolarità, come in un teatro barocco. Lo spirito del tempo spingeva eruditi e appassionati indagatori ad avviare collezioni di ogni tipo, di libri, di antiche monete, di oggetti naturalistici, di dipinti, di sculture. Gli autori di effemeridi, come Calvi, fecero collezione di fatti. Ma da quali fonti raccogliere le notizie circa i fatti del passato? Sicuramente dai libri della biblioteca del Convento. Calvi si accorse tuttavia che i libri non bastavano. Bisognava consultare gli archivi della Città. Si fece dunque prestare dal Cancelliere del Comune la serie delle deliberazioni del Consiglio Comunale dal 1428 sino ai suoi giorni, 70 registri, e con pazienza monacale, chiuso nella sua cella, riportò con ordine e sistematicità sulle sue schede le notizie ritenute di una qualche importanza desunte da quei registri. Era la prima volta che in Bergamo un intellettuale prendeva in mano quei venerandi registri con uno scopo unicamente culturale: nelle mani di Calvi da beni amministrativi diventarono per la prima volta beni culturali, come lo sono ancora oggi per noi. Ma il padre agostiniano non si fermò qui. Quando era già avanti nel lavoro prese una decisione di grande portata e di assoluta modernità. Scrisse a tutti i parroci della Diocesi e alle famiglie più note del Bergamasco sottoponendo loro un questionario a stampa col quale chiedeva notizie sui loro archivi, sulle date di fondazione di istituti ecclesiastici e laicali, sulla storia dei luoghi di culto e delle famiglie, su personaggi illustri, sulla presenza di opere artistiche di una certa rilevanza storica ed estetica, e molte altre cose ancora. Al ricevere quel questionario molti parroci andarono in difficoltà. Mai nessuno prima di allora aveva loro chiesto notizie sulla fondazione di chiese con la precisa indicazione di cercarle nelle antiche carte. I vescovi, in occasione delle loro visite, si limitavano ad avere informazioni sulla stato attuale, pastorale ed economico, della parrocchia. A nessun vescovo era venuto in mente di chiederne la storia. E poi, chi sapeva leggere, quando si trovavano, le pergamene medievali? Comunque, parroci e famiglie risposero, con più o meno diligenza. Le loro lettere, una fonte preziosissima per gli studi, sono oggi conservate nella Biblioteca Civica Angelo Mai. Con questa singolare e lungimirante iniziativa Calvi portò ad un massimo grado di sviluppo la tradizione di studi, di conoscenze e di metodi di ricerca che si era venuta consolidando nel Convento. Portò quella tradizione al di fuori. La fece diventare senso comune. L’impresa dell’Effemeride di un singolo diventò impresa collettiva. Favorì l’emergere e il diffondersi, per la prima volta in Bergamo, di un sentimento nuovo circa il significato e il valore che gli archivi, le antiche carte, le biblioteche rivestivano per la conoscenza, la cultura e la storia della Città e della Diocesi. E quando negli anni 1676-1677 uscirono i tre volumi dell’Effemeride, la loro lettura da parte di chi, in vario modo, aveva collaborato con l’Autore, non fece che porre su quel sentimento nuovo un sigillo di acquisita condivisione e di assicurata continuità, terreno fertile per future germogliazioni.
Non sono forse questi i migliori frutti di una scuola?
Di quella scuola noi siamo gli eredi. Nel quinto centenario della nascita di padre Donato Calvi, che cade quest’anno, si prenda occasione per una rinnovata consapevolezza di tale eredità.
Facciata della chiesa dell’ex Convento Sant’Agostino