7 agosto 2013: Lavoro intellettuale
Riletto in questi giorni, dopo trent’anni, Max Weber, Il lavoro intellettuale come professione, Torino, Einaudi, 1977 (testo di una conferenza tenuta nel 1918 a un gruppo di studenti universitari).
Che cosa mi ha spinto a riprendere in mano questo testo? L’avvertito bisogno di una riflessione d’ordine generale su ciò che sto facendo, su come lo faccio e perché lo faccio: soprattutto dopo un periodo, gli ultimi dieci mesi, nel quale ho lavorato molto ad alcune ricerche (Isaia, Seneca, Dante, Itinerari…) con un ritmo e una intensità che non mi erano più così consueti dai tempi della tesi di laurea.
Che cosa si richiede, secondo Weber, da uno che di professione fa un lavoro intellettuale?
1. Grande passione.
2. Specializzazione («solo in caso di un’estrema specializzazione l’individuo può avere sicura coscienza di produrre qualcosa di realmente compiuto in campo scientifico», p. 13).
3. Molto lavoro, costanza nell’applicazione.
4. Un’idea «ispiratrice» e originale (nel lavoro scientifico come nell’arte; «all’uomo deve balenare un’idea – e proprio l’idea giusta – per produrre qualcosa che abbia veramente un valore» p. 14); l’idea «ispiratrice» è un dono naturale («Gabe», p. 16): non la porta il lavoro, anche se passione e lavoro «la maturano», e comunque l’idea «non sostituisce il lavoro» (p. 15).
5. Cura e servizio disinteressato dell’oggetto di studio, che deve venire prima di ogni cosa, anche di noi stessi («nel campo scientifico ha una sua “personalità” solo chi serve puramente il proprio oggetto» p. 16).
6. Indipendenza e distacco da ogni pregiudizio, partito, ideologia («la politica non si addice all’aula di insegnamento» p. 28, tenere distinte «l’analisi scientifica dalla propaganda», «la cattedra non è per i profeti e i demagoghi» p. 29);.
7. Chiarezza e precisione.
8. Modestia, probità e sobrietà.
9. Consapevolezza che chi verrà dopo farà meglio e di più (i nostri risultati sono sempre parziali e soggetti a essere superati, non così per le opere d’arte, «un’opera d’arte veramente “compiuta” non viene mai superata, non invecchia mai» p. 17).
Weber si chiede: esiste uno scopo assoluto, che dia un senso «ultimo» (p. 25) al lavoro intellettuale? No, se intendiamo questo scopo in senso metafisico come ricerca del «vero essere, della vera arte, della vera natura, del vero Dio, della vera felicità» (p. 25). Il lavoro intellettuale non ha uno scopo ultimo, assoluto, per il semplice motivo che non possiamo «dimostrare se il mondo da esso descritto sia degno di esistere: se abbia un “significato”, e se abbia un senso esistere in esso» (p. 26). L’universo non ha un significato «ultimo», una finalità che lo riconduca al volere di un Dio unico, ma è la manifestazione di volontà contrastanti, scontro tra più dèi («tra i diversi valori che presiedono all’ordinamento del mondo il contrasto è inconciliabile» p. 31, Weber cita Nietzsche e i Fleurs du mal di Baudelaire). Il lavoro intellettuale trova il suo scopo unicamente e semplicemente nel suo compiersi come atto umano di coscienza di sé e di conoscenza del mondo, come atto di vita che si fonda su se stessa ed è compresa in se stessa, come atto inscritto nel personale destino di ciascuno di noi: «Ognuno deve trovare e seguire il démone che tiene i fili della sua vita» (p. 43). L’iter secretum di Orazio?
Mentre leggevo Weber, un caso felice ha voluto che contemporaneamente leggessi anche l’Autobiografia di Charles Darwin, a cura di Nora Barlow, Torino, Einaudi, 2006. Come i due testi si integrano e completano! Come scaturiscono da una medesima fonte di amata razionalità e di civile libertà! Quanto Weber veniva svolgendo nella sua conferenza del 1918, vedevo rappresentato in forma esemplare nella vita del grande naturalista inglese, che così conclude le sue memorie: (p. 126): «Il mio successo come uomo di scienza, qualunque esso sia stato, è dovuto, mi sembra, a diverse e complesse qualità e condizioni intellettuali. Le più importanti sono state: l’amore per la scienza, un’infinita pazienza nel riflettere lungamente su ogni argomento, gran diligenza nell’osservare e raccogliere dati di fatto, e una certa dose d’immaginazione e di buon senso. È davvero sorprendente che con doti così modeste io sia stato capace d’influire in modo tanto notevole sulle opinioni degli scienziati su alcuni importanti problemi».
Ciò che per Weber è l’idea ispiratrice, per Darwin è l’immaginazione. Tenere conto di questo passo di Darwin nella mia ricerca sull’immaginazione.