22 luglio 2013: L’alba
Il mattino presto, prima dell’alba, mi accomodo sul terrazzo a leggere. Tutto intorno è ancora nella quiete della notte. Godo della compagnia degli uccelli mattinieri come me, dei loro primi voli, dei loro primi canti. Attendo il sole che sorge dietro al Misma («e con ardente affetto il sole aspetta / fiso guardando pur che l’alba nasca», Par. XXIII, 8-9), per sentire il calore dei primi raggi sul viso, sulle mani, poi per tutto il corpo. Rileggo per la terza volta il mio Nievo. Il passo più bello di questa mattina: «I bruchi lucenti scintillavano fra l’erbe; le stelle tremolavano in cielo; la luna giovinetta strisciava sulle forme incerte e tenebrose con raggio obliquo e velato. La modesta natura circondava di tenebre e di silenzi il suo talamo estivo, ma l’immenso suo palpito sollevava di tanto in tanto qualche ventata di un’aria odorosa di fecondità. Era una di quelle ore in cui l’uomo non pensa, ma sente; cioè riceve i pensieri begli e fatti dall’universo che lo assorbe. Lucilio, anima pensosa e spregiatrice per eccellenza, si sentì piccolo suo malgrado in quella calma così profonda e solenne. Perfino la gioia dell’amore si diffuse nel suo cuore in un lungo vaneggiamento melanconico e soave. Gli parve che i suoi sentimenti ingrandissero come la nube di polvere sperperata dal vento; ma le forme scomparivano, il colore si diradava; si sentiva più grande e meno forte; più padrone di tutto e meno di sé» (Confessioni di un italiano, I Meridiani,1997, p. 225).