24 maggio 2013: Il lessico di Luigi Pirandello
Da circa due anni Liliana ed io abbiamo deciso di compiere letture sistematiche della narrativa italiana che va dal tardo Ottocento agli anni Settanta del secolo scorso. Letture sistematiche non vuol dire che procediamo con un determinato ordine, poniamo cronologico, né che sono letture esclusive: si va avanti spontanei, quando e come ci pare, lasciandoci guidare dai nostri gusti. Se un autore non ci piace, sotto subito un altro. Riscopriamo autori, come ad esempio Mario Soldati o Piero Chiara, cui un tempo, forse perché condizionati da giudizi poco benevoli di critica “militante”, non avevamo dato alcuna importanza; mentre non possiamo che confermare la grandezza di autori già letti un tempo, come Pirandello, Gadda, Calvino.
Perché queste letture? Vogliamo conoscere meglio l’Italia del Novecento, la terra e l’età in cui ambedue siamo nati. Troviamo più “verità” in un romanzo, se scritto bene e libero da pregiudizi ideologici o moralistici, che non in un saggio storico o sociologico; in secondo luogo, vale soprattutto per me, queste letture accrescono e migliorano la conoscenza della lingua italiana, dell’espressione letteraria, dello stile. Ho sempre presente Orazio: «os tenerum pueri balbumque poeta figurat» (Epist., II, 1, 126). La letteratura come maestra di lingua, di stile, di vita: tre cose che, con l’avanzare dell’età, capisco quanto debbano stare unite e andare di pari passo, nonostante riscontri ogni giorno la mia inadeguatezza. Ma ci provo.
Perché la lettura mi sia proficua, ricorro (non sempre) a quel paziente ed utile esercizio che il povero prof. Don Aldo Morandi ci insegnava fin dai tempi della Scuola Media, quello di annotare su un quadernetto tutte le parole di cui non conoscevamo il significato incontrate nelle nostre letture o durante la lezione. Ho fatto l’esercizio anche in questi giorni, leggendo Suo marito di Luigi Pirandello (1911), romanzo che mi è piaciuto moltissimo e che consiglio senz’altro agli amici (Tutti i romanzi, vol. I, Milano, Mondadori, 1996, pp. 587-873). Pirandello possiede un lessico ricco, appropriato, forbito e spesse volte sorprendente come quando usa termini del tutto inusuali, alcuni forgiati da lui medesimo non trovandone traccia su alcun vocabolario. Sicilianismi, arcaismi, neologismi testimoniano la creatività lessicale di Pirandello, la sua costante ricerca di una lingua fortemente espressiva. Per lo scrittore siciliano, rimasto sempre legato agli studi universitari di linguistica condotti a Bonn, la parola ha valore anche per il suo suono, per le sue possibilità onomatopeiche. Il 21 marzo 1891 discusse la sua tesi di laurea in Filologia romanza che aveva per per titolo: Suoni e sviluppi di suono della parlata di Girgenti (Laute und Lautenwicklung der Mundart von Girgenti, pubblicata ad Halle nel 1891).
Questo il frutto della ricerca lessicale compiuta sul romanzo pirandelliano: «dal lezio svenevole» (dal lat. illicium, atto o modo pieno di mollezza e d’affettazione); «per ghermir l’offa dei ciarlatani» (dal lat. offa, focaccia composta di farro, fig. gettar l’offa: acquietare una persona avida); «il crine, che pareva di capecchio» (filaccia grossa, adoperata per imbottiture, qui per estens. capelli ispidi e arruffati); «tramenío vertiginoso» (spostamento rumoroso di oggetti, trambusto); «borboglío perenne del Sangone» (fragore di acque scorrenti, qui del torrente Sangone, ma sentito da lontano, onomatopèa); «il treno si scrollò per partire» (quel leggero brusco scossone della carrozza, di una frazione di secondo, che precede l’avviarsi del treno, matafora); «sul volto certi sgrati movimenti» (non presente nel Treccani e nel Devoto, presumo contrario di cordiale, gradito); «si rischiarava in viso» (prendeva vivezza e gioia, metafora); «un cupo ronzo» (per ronzío, una sorta di eco che permane per qualche istante nell’aria appena lo scampanío è cessato); «rivoli scorrenti per borri, per zane, per botri scoscesi» (acque che scorrono tra sponde scoscese, burroni, zane -ceste di vimini- qui per estens. cavità dove l’acqua ristagna); «silenzio di quelle verdi alture trapunto, quasi pinzato a tratti da zighi lunghi, esilissimi, da acuti fili di suono, da fritinnii» (metafore e onomatopèe -zighi e fritinnii- parole non presenti nei vocabolari, ritrovate da Pirandello per rendere il silenzio notturno d’alta montagna, pieno di fremiti, come un verso alla Montale; l’onomatopèa “fritinnii” mi ricorda quella del verbo di Omero per il sussurrare delle spighe mosse dal vento, frìssusin, Il. XXIII, 597-600); «ceppi di case sparsi» (case rustiche, antiche? Donde sono discese stirpi, famiglie, generazioni? Quindi per estens. da ceppo, capostipite di una famiglia da cui origina l’albero genealogico?); «il plenilunio la inalbava tutta [la camera]» (lat. tardo inalbare, la imbiancava); «sbrendoli di nebbia impigliati tra gl’ispidi rami» (sbrendolo, pezzo d’indumento lacero che penzola, metafora); «umida imporrita ringhiera di legno» (imputridita per l’umidità); «mensali degli altari» (per tovaglie, non presente nei vocabolari); «il sangue scorre nelle vene con tanta repenza» (velocità); «incignare il letto» (lat. tardo encaeniare, consacrare, inaugurare, qui rinnovare la biancheria del letto); «par che sia raggiornato» (si sia fatto giorno); «parlar dipinto» (con affettazione); «vestiti di soperchio» (superfluo, lusso); «aspetto scombujato di lei» (sconvolto, metafora); «a un tratto s’infoscò in volto» (effetto di diffusa cupezza, metafora, come un verso di Dante); «braveggiare» (comportarsi da prepotente, da spaccone).
Perché l’esercizio possa dirsi completato, bisogna ora mandare a memoria le nuove parole di cui si sono appresi significato e valore.