2 aprile 2013: Le dita luminose del lettore

Nella conferenza “L’Irlanda: isola dei santi e dei savi” (1907), pubblicata in Poesie e prose, a cura di Franca Ruggieri, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1992, James Joyce ricorda il santo abate Finiano di Clonard (470 circa – 549 circa), fondatore di una scuola di teologia sulle sponde del fiume Boyne in Irlanda. Nel discorrere del santo abate, Joyce riferisce un aneddoto che non posso non includere, per la sua stupefacente singolarità, nella mia raccolta di testimonianze sull’amore per la lettura.
Una volta uno studente dell’abate, venuto a mancare l’olio nella lucerna, restò senza lume mentre leggeva. Ma la grazia divina, invocata dal giovane desideroso di continuare la lettura, fece splendere meravigliosamente le sue dita «dimodoché percorrendo i fogli con le dita luminose poté soddisfare alla sua sete di sapere» (p. 572). La passione per la lettura può compiere miracoli. Fantastica e suggestiva l’immagine delle dita che si illuminano per rischiarare le amate pagine del libro (vedere se negli Acta Sanctorum o nel Migne vi sono altri particolari).
Nel testo cabbalistico del tardo Duecento Le Porte della Giustizia di Natan ben Saadyah Harar (Milano, Adelphi 2001) si narra un fatto quasi analogo. Un lettore, chiuso nella sua stanza, è da giorni e notti intento a decifrare i «nomi divini» quando una sera la candela sta per estinguersi; mentre cerca di rimediarvi, si accorge con stupore che il suo corpo incomincia a mandare un forte chiarore; ovunque vada per la stanza questo chiarore lo segue, anche sotto le coltri del letto. Nel primo caso è la passione per la lettura che miracolosamente rende luminose le dita perché il lettore, rimasto senza lume, possa continuare a leggere; qui è il corpo del lettore che, a lettura compiuta, diventa tutto luminoso. Un incanto magico.
Nello stesso volume Poesie e prose di Joyce leggo il bel testo “Lo studio delle lingue” (pp. 761-767). Rapporto tra letteratura e verità: «Le forme più alte del linguaggio, dello stile, della sintassi, della poesia, dell’oratoria, della retorica, sono campioni e interpreti della verità» (p. 764). Plurilinguismo: «Lo studio attento della lingua usata da questi uomini (i maestri) è quasi l’unica via per acquisire una conoscenza completa dell’energia e della dignità che sono insite negli elementi di una lingua e che aiutano a comprendere, pur nei limiti concessi dalla natura, i sentimenti dei grandi scrittori, per entrare nel loro cuore e nel loro spirito, per avere il privilegio di essere ammessi nell’intimità dei loro pensieri particolari. Lo studio della loro lingua è utile pure, non solamente per arricchire le nostre letture ed il nostro patrimonio di pensiero, ma anche per arricchire il nostro vocabolario e renderci inavvertitamente partecipi della loro finezza e del loro vigore» (pp; 765-766). Ecco l’amorevole e salutare funzione delle “dita luminose” con le quali scorriamo le pagine dei nostri libri!