18 dicembre 2012: Alla mostra “Una finestra sul mondo”, Lugano, Museo d’arte
Visitata l’8 dicembre scorso al Museo d’Arte di Lugano la mostra Una finestra sul mondo. Sguardi attraverso la finestra dell’arte dal Quattrocento ad oggi, curata da Giovanni Iovane, Marco Franciolli, Sylvie Wuhrmann, Francesca Bernasconi. Esposti un buon numero di dipinti, alcuni di alta qualità, per la maggior parte provenienti da collezioni pubbliche e private svizzere. Opere, tra gli altri, di Lorenzo di Credi, Albrecht Dürer (incisioni), Gerrit Dou (e bottega), Hans Thoma, Claude Monet, Edouard Vuillard, Félix Vallotton, Albert Welti, Henri Matisse, August Macke, Pierre Bonnard, Balthus, Max Ernst, René Magritte, Alexej von Jawlensky, Piet Mondrian, Robert Delaunay.
Mostra tematica: la “finestra” nella storia della pittura, dal Rinascimento all’orfismo di Robert Delaunay. A fondamento del tema una citazione di Leon Battista Alberti, Della pittura (1436): «La prima cosa nel dipignere una superficie, io vi disegno un quadrangolo di angoli retti grande quanto a me piace, il quale mi serve per un’aperta finestra dalla quale si abbia a veder l’istoria» (Libro I, 19).
La mostra offre lo spunto per considerazioni specifiche sul significato simbolico e metaforico, o anche semplicemente pittorico (linearità geometrica, contrasto di luce/ombra, rapporto interno/esterno, ecc.), che la finestra riveste, come soggetto figurativo, nella storia della pittura.
Qui preferisco riportare una considerazione che ho fatto, giunto al termine della visita, d’ordine generale, e che parte proprio dalla citazione dell’Alberti.
La finestra per la quale il pittore vede la ‘istoria’ è il quadro, è la superficie alla quale egli consegna la ‘sua’ visione. Le linee che limitano l’apertura quadrangolare della finestra sono la cornice del quadro. Il quadro, come la finestra, mostra un ‘fuori’, qualcosa che è al di là della sua superficie, al di là della tela.
Questa concezione del quadro, che risale al teorico Alberti, ha contrassegnato tutta la storia della pittura sino all’avvento delle avanguardie del Novecento, quando con Delaunay, Kandinsky, von Jawlensky, Klee e altri il quadro cessa di essere una superficie trasparente, una finestra per la quale si vede il mondo, trasformandosi, pur mantenendo sempre la forma quadrangolare, in uno spazio autonomo ove si dispiega il fantastico mondo di forme puramente pittoriche dell’artista (linee, spazi, colori ecc.). La trasparenza non è più necessaria, perché ciò che il pittore vuole dipingere non è più al di là della tela ma è pensiero (e sentimento) che si concretizza in forme pittoriche sulla superficie.
A questa nuova concezione e modalità dell’arte pittorica si è giunti per tappe. Vi hanno concorso gli impressionisti (più che la realtà, il soggetto, conta l’impressione che l’artista ne prova), i neoimpressionisti con il puntinismo e il divisionismo, le novità di Van Gogh, l’antinaturalismo di Rousseau, i fauves (più che la realtà, il soggetto, conta la forza espressiva, quasi violenta, del colore, non più locale ma liberamente immaginato), la pittura piatta di Matisse (gli oggetti solo pretesto per una composizione d’arabesco di linee e colore). Con le Fenêtres simultanées di Robert Delaunay del 1912, la superficie del quadro non rimanda a nient’altro se non al piano dell’opera, l’immagine vive di un’esistenza formale propria senza motivi tratti dalla natura, vale a dire dal di ‘fuori’. La dissoluzione dell’oggetto (del ‘fuori’) ha aperto alla pittura possibilità nuove, insospettate. Dalle “impressioni” degli impressionisti si è giunti alle Improvvisazioni di Kandinsky, espressioni di eventi di carattere interiore, e dunque impressioni della “natura interiore”.
È rimasta la forma della finestra (l’antica superficie quadrangolare dell’Alberti), ma ora non è più una finestra che guarda al di fuori, ma al di dentro, nell’interiorità immaginativa e creatrice dell’artista.
Kandinsky scrive di Matisse: «Egli dipinge ‘immagini’ e in queste ‘immagini’ cerca di rendere il ‘divino’. Per riuscirci si serve solo dell’oggetto (un uomo o un’altra cosa) come punto di partenza e dei mezzi propri unicamente della pittura: colore e forma» (Lo spirituale nell’arte, cap. III).
Paul Klee, nel 1912, descrive le Fenêtres di Delaunay (visitato nel suo atelier a Parigi l’11 aprile 1912) come «la tipologia di un’immagine indipendente, che vive un’esistenza formale senza motivi tratti dalla natura. Una creazione pittorica vivente, nota bene, lontana da un tappeto quasi quanto può esserlo una fuga di Bach»: l’espressione «lontana da un tappeto» vuole indicare l’irriducibilità dell’immagine creata da Delaunay a fenomeno decorativo.
Avvenuto questo mutamento, gran parte dell’arte che seguirà, comunque la si denoti, astrattismo geometrico, astrattismo lirico, suprematismo, neoplasticismo, informale, espressionismo astratto, action painting, ecc. ecc., che si servirà, oltre che dei pigmenti tradizionali, dei più diversi materiali, carta, cartone, metallo, legno, stracci, cemento, gesso, sabbia, vetro, ecc., non sarà altro che una lunga, a volte mirabile, spesso scolastica ed effimera, variazione dello stesso tema: la superficie (che pur mutando nelle dimensioni rimarrà quasi sempre quadrangolare) come spazio ove possono prendere forma libere espressioni dell’immaginazione dell’artista, del suo spirito, della sua personalità.
Gli innovatori, in qualsiasi campo, compreso quello artistico, sono sempre radicali. Nell’esaltazione quasi assoluta delle loro nuove concezioni, anche gli artisti delle avanguardie (Kandinsky nella pubblicazione Lo spirituale dell’arte lo fa spesso) vedono le loro nuove modalità espressive come un “progresso” o un “superamento” rispetto alle modalità artistiche precedenti, nel nostro caso, figurative. Ma nella storia dell’arte, che non è scienza, non esiste alcun “progresso”, ma solo un avvicendarsi, uno scomparire, un ricomparire, un rinnovarsi di infiniti modi di interpretazione poetica della realtà, sia essa la realtà del mondo esteriore, come fanno stupendamente un Bellini, un van Ruysdael, un Courbet, sia essa la realtà del mondo interiore e spirituale, come fanno altrettanto bene un Delaunay, un Kandinsky, un Pollock.
Hans Thoma, Sguardo sul parco Holzhausen a Robert Delaunay, Les fenetres simultanées, 2 motif (Guggenheim Coll.)
Francoforte, 1883 (Francoforte, Staedelsch. Kunstinst.)
René Magritte, La Clef des Champs, 1936
(Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza)