11 novembre 2012: Viste due tele di Giovan Battista Moroni, a Sovere e a Cenate Sotto

È la festa di S. Martino ma non si vede la proverbiale estate: piove a dirotto e tira un forte vento. Decidiamo di visitare due chiese parrocchiali il cui patrono è s. Martino, Sovere e Cenate Sotto. Essendo oggi domenica, siamo sicuri di trovare le due chiese aperte e di avere così la possibilità, altre volte frustata, di vedere le tele di Giovan Battista Moroni presenti nelle due parrocchiali.
La tela di Sovere, La Resurrezione di Cristo  (cm.220×133), collocata all’altare che è a sinistra del presbiterio, per molti aspetti ancora legata al maestro Moretto, è datata da Mina Gregori (I Pittori Bergamaschi, Il Cinquecento III, Bergamo, Bolis, 1979, p. 304) agli inizi degli anni ’50, ed è testimone del “primo percorso del pittore”. Vi spiccano, in modo più marcato che in altre opere, il desiderio e il piacere del pittore albinese di riprendere e di fare suoi temi, forme e colori del primo trentennio del Cinquecento veneto: nella brillante cromìa della tavolozza, nelle ampiezze paesistiche venezianeggianti, nell’edera abbarbicata alla roccia, nella fusione tra figure e paesaggio; e poi, soprattutto, nel Cristo risorto dove è evidente il riferimento al Cristo del polittico di Tiziano ai Santi Nazaro e Celso di Brescia del 1520-1522.
Il corpo di Cristo risorto si staglia sul fondo quasi nero della grotta dove è la tomba scoperchiata. Il candore e la umile bellezza, non classica, non romana, di questo corpo appartengono a quella raffigurazione, naturale e mistica insieme, che caratterizza il corpo di Cristo a partire dal geniale Bellini (il Cristo risorto di Berlino), e che è poi nel Cima, nel Palma, nel Previtali, nel Moretto, nel Lotto: immagine di un corpo venerando come un’ostia vivente, corpo glorioso senza alcuna retorica della gloria, corpo luminoso senza alcuna retorica della luce (nell’immagine della pala sotto riprodotta la qualità cromatica è molto alterata).
I toni chiari del cielo e del paesaggio contrastano felicemente con i toni scuri, mortali, della grotta. È festa pasquale anche per l’altissimo albero, altro delicato brano della prima poesia cinquecentesca, albero rinverdito nelle tenere foglie, annuncio di primavera, ondeggiante nel vento della resurrezione: natura e umanità unite nell’inno alla vita splendente: «Aurora lucis rutilat / caelum resultat laudibus / mundus exultans iubilat / gemens infernus ululat» (Inno alle Lodi del Tempo pasquale).
Il parroco don Francesco Vitali, dottore in teologia, vicario foraneo, così scrive a proposito della nostra tela a padre Donato Calvi, agosto 1666, nella relazione sulla chiesa parrocchiale di Sovere: «Vi sono molti quadri di pittura riguardevole, tra quali uno della Resurretione, stimato il più bello fra i bellissimi fatti da Giovanni Battista Moroni, detto il Moretto» (Donato Calvi, Delle chiese della Diocesi di Bergamo, a cura di Giosuè Bonetti e Matteo Rabaglio, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2008, p. 181)

A Cenate Sotto osserviamo la tela del Moroni appesa sulla parete destra (ma originariamente era all’altar maggiore): Madonna col Bambino in gloria, S. Martino e il povero con il donatore don Leone Cucchi (cm. 260×156). Più del gruppo sacro, leggermente in secondo piano (il muso del cavallo non degno del Moroni), e più ancora dell’ampio e splendido panneggio blu, rosso e bianco della Madonna col Bambino (anche il Bambino, come in molte altre tele, non all’altezza del Moroni), qui la nostra attenzione è catturata dal naturalistico e vivo ritratto di don Leone Cucchi, che fu parroco di Misma e di Cenate dal 1546 al 1608, la cui presenza nella tela è «potente e reale, in primo piano, di forti proporzioni rispetto al gruppo sacro». Mina Gregori (cit., p. 250) fissa una data per il quadro tra il 1573 e il 1578, sulla sicura base stilistica, confortata dal fatto che, nato il Cucchi a Martinengo nel 1528, nel ritratto pare avere un’età tra i 45 e i 50 anni.
Nella Seconda Sinodo diocesana del 1568, la Pieve di Telgate, come accadde ad altre pievi di grandi dimensioni, fu divisa per consentire ai vicari foranei una più efficace azione pastorale. Don Leone Cucchi fu nominato vicario foraneo della pieve di Cenate, mentre don Pietro Maria Peracchi vicario foraneo della pieve di Telgate. Nella Terza Sinodo diocesana del 1574 Cenate e Telgate furono nuovamente riunite a formare una sola vicaria, a capo della quale fu eletto don Giorgio Asperti, parroco di Gorlago, del quale, in questo mio sito, si può leggere un profilo culturale da me scritto sulla base della sua ricca biblioteca.
Don Leoni Cucchi nel suo testamente del 10 settembre 1608, in atti del notaio Simone Fiori di Albino (Archivio parrocchiale di Cenate sotto: Eredità Cucha, faldone 3.1.b, notizie fornite da Giovanna Capoferri Mosconi- Gabriele Medolago, Gli edifici sacri di Cenate Sotto II – le chiese parrocchiali di San Martino e San Rocco, Cenate Sotto, 2011, pp. 14 ss.) istituisce come suo esecutore testamentario proprio don Giorgio Asperti, vicario foraneo della vicaria di Telgate.
I due sacerdoti si conoscevano, si frequentavano, si stimavano. Di ambedue Giovan Battista Moroni  ha fatto il ritratto, quasi nello stesso periodo, a metà degli anni Settanta. Chi può essere stato il tramite tra i due ecclesiastici e il pittore albinese? Probabilmente il nipote di don Leone Cucchi, don Fabrizio Personeni, che era di Albino, e che già nella visita di s. Carlo Borroimeo a Cenate nel 1575 figura come vicecurato e che poi, alla morte dello zio, gli succederà come parroco. Ma i due sacerdoti già dovevano conoscere e apprezzare molto il Moroni: don Cucchi negli anni Cinquanta gli aveva commissionato L’Assunzione della Vergine per la Chiesa di Misma (oggi nella Chiesa parrocchiale di Cenate S. Leone), don Asperti gli commissiona tra gli anni 1572-1575 ben tre dipinti per la Chiesa di Gorlago, tuttora in loco.
Nel ritratto di Cenate, don Cucchi appare persona volitiva, autoritaria, determinata, sicuramente pragmatica: carattere che corrisponde a quanto scrivono di lui gli abitanti e i consoli di Cenate in una lunga relazione, che il parroco non dovette certo gradire, presentata al visitatore apostolico s. Carlo Borromeo nel 1575.  Nell’altro ritratto (Vaduz, Collezione del principe di Liechtenstein, cm. 44,9 x 36,8), don Asperti ha l’espressione di persona un poco malinconica, mite, disponibile, sicuramente di un intellettuale: carattere che collima perfettamente con quanto dicono di lui gli abitanti di Gorlago al visitatore apostolico s. Carlo Borromeo.
Grande Moroni, valente ritrattista e fine conoscitore degli uomini!
(Sui due dipinti: Simone Facchinetti, Moretto, Moroni, Cavagna e Ceresa a Gorlago: documenti e un ritratto, in «Paragone», XLVII, 1996, pp. 186-197; Giovan Battista Moroni. Lo sguardo sulla realtà, 1560-1579, a cura di Simone Facchinetti, Catalogo della mostra, Bergamo, Museo Adriano Bernareggi, 13 novembre 2004-3 aprile 2005, Cinisello Balsamo, SilvanaEditoriale, le schede dei due dipinti: p. 140 (la pala di Cenate, scheda di Simone Facchinetti), p. 278 (il ritratto di don Cucchi, scheda di Paolo Plebani).

Una bella e interessante ricerca di storia della Chiesa a Bergamo, che mi piacerebbe se qualche giovane laureando potesse intraprendere, è quella del ruolo svolto dai vicari foranei nella Diocesi di Bergamo tra il 1564 (anno della Prima Sinodo postridentina) sino ai primi tre decenni del Seicento. Come furono ripartite in Diocesi le vicarie? In base a quali esigenze? Quali erano i compiti assegnati ai vicari? In base a quali criteri furono scelti? Chi erano? Quale era la loro formazione scolastica, la preparazione teologica e pastorale? Quali le attese dei vescovi nei loro confronti?  Come operarono? Con quali risultati?
L’interesse per questa ricerca si appoggia sulla forte convinzione che ho maturata nel corso degli anni circa l’apporto fondamentale che hanno recato i vicari foranei, molti dei quali erano dottori in diritto o in teologia, in quella vasta e capillare opera di riforma e di riorganizzazione della Chiesa cattolica nella Diocesi di Bergamo in età postridentina, un’azione che fu talmente solida, costante e radicata da contrassegnare poi per secoli la vita ecclesiale e religiosa della terra bergamasca.

                     

La pala di Sovere                                    La pala di Cenate Sotto                      Ritratto di don Giorgio Asperti