8 novembre 2012: Lo studio di Lester Little sui “brentatori” e il culto di s. Alberto da Villa d’Ogna

L’ultima volta che è stato a Bergamo, l’amico Lester (Lester K. Little, professore emerito di Storia medievale allo Smith College di Northampton, USA) mi ha donato l’estratto degli «Atti dell’Ateneo di Scienze, Lettere e Arti di Bergamo», vol. LXXIII, Anno acc. 2009-2010, pp. 191-208, con il testo della sua conferenza tenuta all’Ateneo il 22 settembre 2010: I brentatori di Bergamo, cui avevo assistito ricevendone un’ottima impressione per la novità del tema (almeno per gli studi bergamaschi), per la metodologia seguita nella ricerca, per i risultati raggiunti.
Rileggendo ora con calma il testo della conferenza, trovo il lavoro di Lester un esempio notevole di storia della sociologia della religione.
Dai documenti nulla sappiamo di Alberto da Villa d’Ogna, se non che fu un portatore di vino (“brentatore”), nato nel villaggio di Villa d’Ogna in Alta Valle Seriana e morto a Cremona il 7 maggio 1279.
Tutto quanto si dice di lui dopo la sua morte è la “leggenda di Alberto” (miracoli, pellegrinaggi…, pp. 201ss.), conservata in tre versioni del Cinquecento. S. Alberto, un laico brentatore (termine col quale per secoli furono chiamati coloro che per mestiere portavano a spalla il vino dentro brente, dalle cantine di deposito alle case: con “brenta” si indicò sia il contenitore di legno usato per trasportare il vino sia l’unità di misura per liquidi), tra la fine del Duecento e l’Ottocento fu venerato in varie città dell’Italia settentrionale (Cremona in primo luogo, poi Piacenza, Reggio Emilia, Parma, Mantova, Brescia, Bergamo) come il santo patrono della corporazione dei “brentatori”, di cui Lester ha studiato gli statuti medievali, l’organizzazione, la diffusione del mestiere in territorio padano.
Il culto di s. Alberto da Villa d’Ogna, anch’esso studiato da Lester nelle sue varie fasi di sviluppo e ambiti territoriali di diffusione, nei protagonisti (ordini religiosi) che lo promossero, si mantenne vivo sino a quando perdurarono il lavoro e la corporazione dei brentatori, vale a dire sin verso la metà dell’Ottocento, quando altri metodi di commerciare il vino emersero rapidamente.
Con la scomparsa della corporazione e del mestiere, anche il culto del patrono, che aveva nella città di Cremona il suo secolare e consolidato centro di irradiazione, rapidamente scomparve. Sparirono dalle strade cittadine i “brentatori”, sparì dai vocabolari la parola “brentatore”, sparì dalle città padane anche il culto del santo patrono.
A s. Alberto da Villa d’Ogna non restò che “ritornare a casa”, al suo paese d’origine, dove nel 1903 furono traslate da Cremona le reliquie: “nella primavera del 1903 giunse il momento di lasciare Cremona. Il viaggio iniziò in treno da Cremona a Bergamo. Dopo una sosta di quasi tre mesi presso la curia vescovile, il viaggio continuò su per la valle fino a Villa d’Ogna per mezzo di una lunga fila di carri tirati da cavalli che portavano dignitari civici ed ecclesiastici che scortavano le reliquie” (p. 208). Villa d’Ogna è rimasto l’unico luogo ove ancora oggi il culto si mantiene.
Durante la conferenza Lester illustrò il mestiere del “brentatore” con molte immagini tratte da affreschi, dipinti e stampe, un excursus iconografico che mi ha molto interessato.
Tra le illustrazioni allora mostrate, e che compaiono anche nell’estratto, figura l’incisione tratta dal disegno di Annibale Carracci in Arti di Bologna, 1646 (titolo completo: Diverse Figure al numero di ottanta, Disegnate di penna Nell’hore di ricreatione da Annibale Carracci intagliate in rame, e cavate dagli Originali da Simone Guilino Parigino, dedicate a tutti i Virtuosi et Intendenti della professione della Pittura, e del Disegno, Roma 1646).
Dei disegni, testimonianza del naturalismo di Carracci e della sua attenzione per il “vero” e per il “vivo” della realtà contemporanea come reazione al freddo e scontato manierismo, e di questa edizione, discute Daniele Benati, “Annibale Carracci e il vero” in: Annibale Carracci, Catalogo della mostra 22 settembre 2006-7 gennaio 2007, Bologna, Museo Civico Archeologico, Milano, Electa, 2006, pp. 19-37; a p. 28 scrive: “Avvolta ancora da problemi di ordine filologico difficili da dipanare, questa serie ricopre una grande importanza, non solo per la nascita di un genere, quello della pittura di mestieri, che si svilupperà nel XVII secolo, ma anche per la scoperta di nuovi orizzonti realistici che Annibale vi compie. Come dimostra un disegnino per il “Brentador di vino” contenuto in un foglio di studi per la galleria Farnese, la serie nacque per caso, a Roma, durante la sosta di lavori più impegnativi”. Il disegnino del “brentador” di Annibale in R. Wittkower, The Drawings of the Carracci in the Collection of Her Majesty the Queen at Windsor Castle, London 1952, p. 137, n. 293, fig. 32.
Se la raccolta di disegni nasce a Roma, e la si vuole espressione di figure dal “vero”, come mai si è imposto il titolo Arti di Bologna?

Simon Guillain (su disegno di Annibale Carracci), Brentador di vino