5 novembre 2012: Per ogni disciplina un suo lessico

Possiamo dire di possedere i capisaldi di una disciplina (parlo qui delle scienze umane ma penso che valga anche per le discipline scientifiche) quando ne conosciamo la storia, i fondamenti, il metodo e, soprattutto, il lessico. Perché ogni disciplina ha un suo lessico, che quanto meglio conosciamo e usiamo con altrettanto maggior profitto ci intendiamo con coloro che coltivano come noi quella disciplina. Ma soprattutto ci sentiamo ‘padroni’ della disciplina. Non tutte le parole sono poi univoche: serve anche conoscere le diverse accezioni che una stessa parola ha assunto nel corso del tempo o le diverse sfumature di significato che un autore o una scuola può dare a una stessa parola rispetto ad altri autori o ad altre scuole.
Fondamentale nella corretta e ampia acquisizione del lessico di una disciplina è la frequentazione della scuola. Faccio queste osservazioni partendo dalla mia personale esperienza. Io mi trovo a mio agio col lessico delle scienze teologiche, filosofiche e storiche, nelle quali da giovane ho seguito corsi di studi; so distinguere tra “trascendente e trascendentale” (che nell’uso comune vengono erroneamente usati come sinonimi), tra “essere e ente”, tra “documento e fonte narrativa”. Non è invece così per le scienze letterarie artistiche, nelle quali non avendo mai avuto una appropriata formazione universitaria, avverto sempre la mia inadeguatezza lessicale ogni volta che ne parlo.
Per difetto del lessico tecnico mi trovo spesso in difficoltà quando vorrei dire con precisione e compiutezza quello che vedo e quello che provo di fronte a un’opera d’arte. E mi accorgo che non basta la dote naturale della vis imaginativa: serve che le res siano dette con le loro verba, altrimenti tutto resta nel vago e nel generico, ed è quanto si rimprovera giustamente al dilettante. È la condizione nella quale mi trovo quando scrivo d’arte. Mi manca il lessico del colto catalogatore, il quale possiede la necessaria terminologia, condivisa, per descrivere ogni particolare di un oggetto artistico. E non è pedanteria.
In altri campi invece, come in quello dell’archivistica, che ho pure frequentato in gioventù, per la quale i progressi sono determinati non tanto dal mutamento della dottrina ma dall’utilizzo della strumentazione informatica, è sopraggiunto un notevole aggiornamento lessicale, e di tale portata che, quando mi capita di parlare con giovani archivisti, rischio di non capirli. Io sono rimasto al lessico di Vittani, Bonelli, Casanova, Cencetti, Lodolini. I giovani archivisti parlano più in inglese che in italiano. E faccio non poca fatica a comprendere i loro inventari informatizzati. Rimpiango, sicuramente da nostalgico passatista, la limpida chiarezza delle essenziali descrizioni di un tempo su supporto cartaceo.