8 gennaio 2015: Giovanni da Modena: il viaggio di ritorno dei re Magi al loro paese d’oriente
Dal 12 dicembre al 12 aprile il Museo Civico Medievale di Bologna presenta la mostra Giovanni da Modena.Un pittore all’ombra di San Petronio, a cura di Daniele Benati e Massimo Medica. Si tratta della prima mostra dedicata al pittore modenese, ma bolognese d’adozione, Giovanni di Pietro Falloppi (1379?-1455?) noto come Giovanni da Modena.
La visita inizia al Museo, dove sono esposte opere su tavola, affreschi strappati, miniature, e prosegue tra le cappelle della Basilica di San Petronio. Qui, munito del necessario binocolo, senza il quale sarebbe impossibile cogliere gli interessanti e curiosi dettagli, ammiro i favolosi affreschi eseguiti da Giovanni da Modena negli anni 1411 e 1412 nella Cappella Bolognini: Giudizio Universale,Viaggio dei Magi, Scene della vita di s. Petronio.
Bartolomeo Bolognini, nato a metà Trecento a Bologna, fu uno dei principali produttori e mercanti di seta del suo tempo. Ebbe dal Comune di Bologna incarichi politici e prese parte a missioni diplomatiche. Fu procuratore e officiale della fabbrica di San Petronio, la cui costruzione ebbe inizio nel 1390 per iniziativa del Comune e su progetto di Antonio di Vicenzo (1350-1402). Grazie alle cospicue ricchezze, alle salde e altolocate relazioni stabilite con i poteri signorili, al notevole prestigio goduto in città, il mercante bolognese riuscì a mantenersi sempre in auge pur coi mutamenti politici che nel corso della sua vita si succedettero in città, dal libero Comune ai Bentivoglio, dai Visconti al governo della Chiesa con il cardinale legato Baldassarre Cossa. Bolognini è figura rappresentativa della borghesia fattiva e intraprendente tardomedievale, dotata di lucida e spregiudicata intelligenza di uomini e cose, che seppe, nell’interesse della propria affermazione sociale, unire la fortuna economica all’avveduta azione politica e diplomatica. Morì il 2 luglio 1411. Nel testamento del 10 febbraio 1408 aveva disposto che una parte delle sue sostanze fosse devoluta all’abbellimento e alla conservazione della cappella di San Petronio in cui sarebbe stato sepolto.
Come spesso avviene nelle opere degli inventivi pittori tardogotici, amanti della narrazione, propensi a uno spiccato gusto per l’aneddoto e per l’osservazione concreta e incisiva, anche negli affreschi di Giovanni da Modena si mescolano naturalismo e libera fantasia, notazioni quotidiane e fioriti grafismi, vita umile e decoro cortese. Mi piace questa felice combinazione di aulicità, idealizzazione e realismo; trovo geniali certe nuove e imprevedibili invenzioni dell’arte tardogotica tra l’ingenuo e l’ironico, il grottesco e l’estroso. La mia amabile propensione per quest’arte, oltre sicuramente ad un gusto personale per la raffinatezza del dettaglio e la grazia della linea, sarà forse anche dovuta dall’aver custodito, per quattordici anni, come direttore della Biblioteca Civica di Bergamo, quel miracoloso libro del gotico internazionale che è il Taccuino di Giovannino de Grassi. Le esperienze della vita condizionano anche i nostri gusti.
Delle figure affrescate dal pittore modenese colpiscono i marcati tratti fisionomici, gli sguardi in tralice, la varietà delle espressioni, alcune delle quali, per eccesso di caratterizzazione, paiono caricaturali. La vigilanza psicologica dei caratteri, già affermata nella letteratura coeva, pensiamo al Decameron e alle novelle del Sacchetti, è caratteristica anche della figurazione tardogotica: essa è sintomo di quella curiosità dell’uomo e del suo ambiente tipica della società urbana e mercantile del basso medioevo.
La scena dell’adorazione dei Magi, lontana dalla tradizionale e consueta ritualità della presentazione delle offerte, è originale rappresentazione dell’evento. Ogni particolare è oggetto di osservazione, dalla natura alle suppellettili, dai gesti dei protagonsiti alla variegata e variopinta foggia del vestire. Si avverte un desiderio di movimento e di vita.
Maria tiene il cofanetto contenente l’oro che le è appena stato donato dal vecchio re Melchiorre; se ne servirà, scrive Iacopo da Varazze, nel lungo periodo d’esilio nella lontana terra d’Egitto. Gaspare, il più giovane dei Magi, imberbe, riceve dalle mani gentili di un inserviente un oggetto di raffinata oreficeria: pare un ostensorio più che un incensiere. Baldassarre pare voler controllare che nel cofanetto mostratogli da uno del seguito vi sia la mirra che sta per donare.
Mentre i Magi recano i doni e si apprestano ad adorare il Bambino, Giuseppe dorme. Spesso, per il noto motivo, i pittori fanno dormire Giuseppe: ma non l’ho mai visto dormire di un sonno così placido e profondo come nella Cappella Bolognini, e per di più con i Magi sull’uscio; mentre dorme tiene una mano sulla botticella, come per prevenire il pericolo che gli venga portata via durante il sonno.
La narrazione del viaggio di ritorno dei Magi al loro paese d’oriente è rara sia nei cicli leggendari della tradizione scritta sia nell’iconografia; e quando vi compare è di breve e laconica esposizione. Alla rappresentazione del viaggio di ritorno dei Magi Giovanni da Modena riserva invece le stesse grandi dimensioni dell’adorazione e la stessa magnificenza che, a partire proprio da questo periodo, viene esibita nella raffigurazione dell’arrivo dei Magi con un lungo, fastoso e sontuoso corteo. Mi immagino tuttavia la meraviglia dei bolognesi il giorno che sarà stato scoperto l’affresco. Ma come? I Magi tornano in oriente per mare? E i cavalli e i dromedari, dove sono finiti?
Il passo di Matteo 2, 12 non specifica per quale via i Magi tornarono al loro paese, limitandosi a dire che presero un’altra via: “Quindi, avvertiti in sogno di non passare da Erode, per un’altra via fecero ritorno al proprio paese”. Ma quale altra via?
A Bologna Giovanni da Modena avrà potuto contare sul fior fiore di biblisti, domenicani e francescani, docenti nel celebre Studio, che l’avranno doverosamente istruito a questo proposito. Questi esegeti, fondandosi sulla Historia scholastica di Pietro Comestor del XII secolo, sulle Postille di Niccolò da Lira a Matteo 2,12, sui passi dell’Antico Testamento, Salmi 72, 10, e 48, 7; Isaia 23, 1-10, Giona 1, 1-3 e 4,2; 1 Re10, 22, nonché sulle molte tradizioni che circa le storie dei Magi si erano sviluppate dal V secolo sino al recente scritto di Giovanni di Hildesheim, Historia trium regum, che le aveva tutte riassunte, avranno spiegato al pittore che i Magi, per non dover incontrare Erode, ritornarono in Oriente prendendo la via del mare diretti a Tarsis. L’iconografia del viaggio di ritorno dei Magi per mare è rarissima; e prima di Giovanni da Modena, che inventa del tutto la scena, si limitava a rappresentare i re Magi seduti in una piccola barca; come vediamo nella miniatura del Lezionario di Spira del 1195 conservato a Karlsruhe, nella formella della Cattedrale di Amiens del sec. XIII e in una coeva vetrata della cattedrale di Tours; la stessa immagine di una barca con i tre Magi è in un mosaico del Battistero di Firenze della fine del sec. XIII.
Tarsis era considerata una città marittima la cui localizzazione rimane incerta. Nei testi biblici divenne sinonimo di città lontanissima dalla Palestina, per raggiungere la quale erano necessarie navi di Tarsis, cioè tali da poter affrontare lunghe navigazioni in alto mare, navi considerate le più belle e solide del Mediterraneo. Anche il re Salomone possedeva una flotta di navi di Tarsis: “Il re aveva in mare una flotta di Tarsis, oltre alla flotta di Chiram, e ogni tre anni la flotta di Tarsis portava oro, argento, avorio, scimmie e babbuini” (1 Re 10, 22). Imbarcatisi quindi a Giaffa su navi di Tarsis, i re Magi raggiunsero dapprima Tiro, poi da qui proseguirono verso il loro paese, dove giunti costruirono sul monte Vaus una cappella, presso la quale alla fine della loro vita furono sepolti.
Queste informazioni servirono a Giovanni da Modena per creare una scena complessa, originale, nuova nell’iconografia dei Magi e di straordinario impatto visivo. La meraviglia che coglie chi entra nella Cappella Bolognini è per quel bianco svolare nell’immenso blu di cielo e mare. I re Magi, che si vedono nell’imbarcazione più grande, con Melchiorre dalla lunga barba bianca in posizione frontale tra Gaspare e Baldassarre, sono in procinto di salpare dal porto di Giaffa, raffigurato con le strutture di avvistamento e di difesa. Come voleva la tradizione, i Magi sono accompagnati da un grande seguito di dignitari, funzionari e inservienti. I gabbieri sono impegnati sull’alberatura a issare le vele bianche; uno sta di vedetta nella coffa in cima all’albero maestro e si sbraccia nel guidare le manovre d’uscita dal porto. I comandanti dei due velieri sono al loro posto seduti sui casseri di poppa, che hanno parapetti di bella fattura. Una terza imbarcazione, in primo piano, è una galea sottile, dotata di venti remi per parte, ha lo scafo bianco come il bucintoro a Venezia, quattro dignitari sono già a poppa sotto la tenda di comando, i galeotti devono ancora prendere posto ai loro banchi; intanto si trasportano sulla galea bagagli e viveri. Tra navi che partivano insieme, dirette ad uno stesso porto, la funzione della galea, agile, veloce, manovrabile, era quella di trasportare i viveri e di garantire la difesa. Più che dei suggerimenti di esperti biblisti, Giovanni da Modena si sarà qui avvalso, per la raffigurazione veritiera di una flotta in partenza, delle informazioni di esperti marinai, posto che non ne fosse già egli avvertito per personale esperienza.
In lontananza si vede la cappella che i Magi edificheranno sul monte Vaus, e presso la quale verranno sepolti.
Benché lo spazio illusorio del tardo Medioevo, confrontato con la concezione rinascimentale della prospettiva, sia ancora piuttosto inesatto e incoerente, si manifesta già, nella rappresentazione di questa scena, un ideale realismo.
Gli uomini del tardo medioevo amano partire, viaggiare, incontrare altri uomini, scoprire nuove cose. La veduta di viaggio diviene un tema pittorico adeguato all’epoca, manifestazione del desiderio di intraprendenza e di libertà. Il grande affresco di Giovanni da Modena illustra il fastoso ritorno dei Magi in Oriente avvenuto per mare. Ma l’evento è anche il pretesto per la messinscena spettacolare di una agitata e movimentata partenza, assurta a simbolo e paradigma di ogni bramato viaggio verso terre lontane.
Bibliografia: Giovanni di Hildesheim , La storia dei re magi, traduzione e commento di Alfonso M. di Nola, Firenze, Vallecchi, 1966, in particolare alle pp. 258-259; Bibliotheca sanctorum, Roma, Città Nuova, 1967, vol. VIII, alla voce Magi: buona la sezione dedicata all’iconografia; Franco Cardini, I Re Magi. Storia e leggende, Venezia, Marsilio, 2000; Dizionario Biografico degli Italiani, alla voce Bolognini Bartolomeo, a cura di Antonio L. Pini, vol. 11, 1969, consultabile in Rete. Devo ancora vedere il catalogo della mostra, che ho ordinato all’editore.