21 dicembre 2014: Goethe, norme di vita intellettuale
La mattina di giovedì 26 aprile 1787, affacciatosi alla finestra della locanda di Agrigento, lo sguardo incantato sulla valle dei templi, Goethe ha un pensiero affettuoso per l’amico “segreto, taciturno ma non muto” che gli sta sempre accanto nel viaggio in Sicilia: il “libriccino”, che custodisce “come breviario o talismano”, di Johann Hermann von Riedesel (1740-1785), pubblicato a Zurigo nel 1771, in forma di lettere al suo maestro Winckelmann, Reise durch Sizilien und Gross-griechenland [Viaggio in Sicilia e nella Magna Grecia].
Col pensiero rivolto a questa sua preziosa guida, il poeta annota nel diario una considerazione tanto umile quanto prudente, vera e saggia. Andrebbe spesso meditata, parola per parola, come monito e norma universale di autentica vita intellettuale: “Ho sempre gradito specchiarmi in quelle personalità che posseggono ciò che manca alla mia, e precisamente, nel caso in questione, un calmo proponimento, la certezza dello scopo, strumenti nitidi e idonei, preparazione e conoscenza, intimo rapporto con un maestro impareggiabile quale Winckelmann; tutto questo e quant’altro ne consegue, mi fa difetto. E tuttavia non posso rimproverarmi se cerco di conquistare di sorpresa, di forza o con astuzia ciò che per vie ordinarie mi fu negato finora nella vita” (Viaggio in Italia, Mondadori, 1999, p. 307).
Winckelmann espone il suo metodo di ricerca nella Prefazione alle note sulla “Storia dell’arte antica” del 1766. Si legge in edizione italiana nel volumetto Il bello nell’arte. Scritti sull’arte antica, a cura di Federico Pfister, Torino,Einaudi, 1973, alle pp. 109-118. Lo scrittore tedesco si riferisce ovviamente alla storia dell’arte, ma le norme di studio che compongono il suo metodo valgono per ogni disciplina. Degli strumenti “nitidi e idonei”, di cui Goethe scrive nella sua nota ma senza esplicitarli, Winckelmann ne elenca due, di fondamentale importanza: l’osservazione e la biblioteca. Con la prima “non si fa altro che guardare e osservare” gli oggetti del proprio studio, “vagliando e confermando le osservazioni mediante una comprensione sistematica”; nella biblioteca si leggono i libri che trattano della propria disciplina per “sapere che cosa altri ha già scritto, e questo, per non fare un lavoro inutile e per non dire ciò che già più volte è stato detto”.