11 dicembre 2014: Un piacevole angolo di Bergamo

Tutti i mercoledì mattina, dovendo andare a lezione di Inglese, percorro a piedi il tratto che da via Zambonate porta in via Coghetti, dove è lo studio della mia teacher. Nell’andata passo da Piazza Pontida e faccio un pezzo di via Broseta. Nel ritorno risalgo la via Giacomo Manzù, il vicolo S. Rocco e per via S. Lazzaro ritorno in via Zambonate.

È questa una zona di Bergamo che mi è sempre piaciuta. Ora che la percorro ogni settimana, vado scoprendola con più attenzione e deliziata sorpresa. Qui si avverte ancora una tenue eco del fascino e dell’atmosfera degli antichi borghi: nella piazza, sotto i portici, nelle forme e nei colori delle case, in alcuni scorci architettonici, nei vicoli stretti e bui, come è quello, molto singolare, pare una galleria catacombale, che da via Broseta porta in vicolo S. Rocco, tutto voltato a mattoni rossi.
Un tempo, almeno sino all’Ottocento, la Città mostrava qui il suo volto popolare, artigianale, mercantile, in un clima che mi immagino vivace, indaffarato, rumoroso. Più che in altre parti della Città qui era cospicuo il numero di negozi, botteghe, laboratori, officine, studi. Qui stavano notai, medici fisici, ciroici, barbitonsori, aromatari, preti, magistri di scuola, dipintori, marengoni, calzolai, maestri murari, pellettieri, sarti, confettieri, pristinari, grassinari, osti, locandieri. Non è un elenco inventato. L’ho riscontrato molte volte consultando le polizze d’estimo della Città del periodo veneto. Questo Borgo, detto di San Leonardo, si distingueva dall’alta e turrita Città, aristocratica e governativa. Due piazze rivaleggiavano: in alto Piazza Vecchia, cuore del potere civile, palcoscenico per l’esibizione processionale delle gerarchie cittadine; in basso Piazza della Legna (oggi Piazza Pontida), affollato centro di incontri e di traffici, popolare e borghese. Nella Piazza della Legna, il 3 agosto 1848, Giuseppe Mazzini arringò i bergamaschi durante l’insurrezione antiaustriaca, auspicando l’avvenire di un’Italia unita e repubblicana.
Certo, non è più il Borgo San Leonardo di un tempo. Tutto è cambiato. Passando però sotto i portici mi piace fermarmi al banco della pescheria e osservare la scelta e colorita varietà di pesci, sostare alla vetrina del piccolo panificio che mostra le michette bergamasche appena sfornate, fermarmi alla bottega di antiquariato che espone piccole vedute di fine Ottocento con oggetti domestici di raffinata fattura. Mi piace entrare nell’Osteria dei Tre Gobbi, l’ultima vera osteria della mia Città, che nell’Ottocento era frequentata da artisti, cantanti, poeti vernacolari e dal grande Gaetano Donizetti: alle pareti vecchie fotografie, tavoli rustici, sedie impagliate, si mangia alla buona e con prezzi onesti. La sera del 19 dicembre mi troverò qui con gli amici di Archivio Bergamasco per la cena sociale.
A rendere oggi originale il quartiere è anche la Roggia Serio, che qui scorre per un tratto a cielo aperto, radente ai muri delle case sulla destra e fiancheggiata dal vicolo di S. Rocco e da via Giacomo Manzù sulla sinistra. Lungo la Roggia non è più la febbrile animazione di un tempo, quando l’acqua, ancora sino a metà Ottocento, azionava mulini, filatoi, fucine, serviva per l’irrigazione degli orti, per i lavatoi pubblici e privati. Ma vedere l’acqua scorrere limpida e veloce, guizzante di riflessi, sentirne il fragore nella caduta dalla chiusa che è a metà del tratto, mi riempie di emozione e sbriglia la mia fantasia a raffigurare come doveva essere quest’angolo dell’antico Borgo.
Nella veduta di Bergamo di fine Cinquecento, olio su tela, che si conserva nella Biblioteca Civica Angelo Mai, abbiamo una efficace testimonianza dell’allora conformazione della Città. Nella prima immagine che riproduco qui sotto (cliccandovi si può ingrandire) è raffigurato il Borgo di S. Leonardo. La Roggia Serio, allora tutta scoperta, disegnata con colore grigio chiaro, esistente sin dal XIII secolo quando fu scavato l’alveo con presa d’acqua ad Albino, lambiva la cinta muraria costruita a metà Quattrocento, chiamata le Muraine, ed entrava nel Borgo, per il quale era la principale fonte di energia e di lavoro.
  

Col numero 60 è indicata la Chiesa di S. Leonardo, col n. 37 la Chiesa di S. Lazzaro, col n. 34 la Chiesa di S. Rocco. La veduta, a volo d’uccello, è molto precisa, tranne in un punto: la cinta delle Muraine non era accostata alla Chiesa di S. Rocco, come la raffigurazione lascia credere, trovandosi in realtà circa cento metri più distante dalla Chiesa, verso ovest: le Muraine passavano infatti sopra il ponte, a doppia arcata, che ancora si vede da via Giacomo Manzù.
Più corretta e ricca di informazioni è la mappa topografica della Roggia Serio, disegnata nel 1810, anch’essa conservata nella Biblioteca Civica (C 21 a-b). Nell’immagine che riporto si vede il tratto di Roggia che va da via S. Lazzaro sino a dove era, ed è tuttora, il ponte a doppia arcata; il tratto di Roggia che ancora oggi è scoperto va dalla Chiesa di S. Rocco al ponte.
Nella mappa una rotella indica le ruote idriche che si trovavano lungo la Roggia, mentre i numeri rimandano al registro, che accompagna la mappa cartografica, sul quale, in corrispondenza di ogni numero sono descritte le tipologie di edifici e di strutture che insistono sulla Roggia: è un documento di notevole interesse storico, finora mai studiato adeguatamente. L’altra immagine è una veduta di Piazza della Legna.
  

Al n. 489 è la Chiesa di S. Rocco; i n. 446, 462, 478, 483, 490 sono lavatoi, uno ogni venti metri, ai quali si accedeva per delle scalette indicate nel disegno; al n. 485 era un filatoio con la ruota all’interno del fabbricato; al n. 491 una ruota munita di secchi cavava l’acqua dalla Roggia per la filanda e l’ortaglia dei fratelli Carissimi; al n. 449 era il filatoio di Luigi Riccardi; al n. 492 era uno sbarramento di legno, al n. 501 il ponte sul quale passava la cinta muraria che chiudeva il Borgo “due archi sostenuti da un pilastro, li quali sostengono la mura vecchia della Città”.
Alessandro Manzoni doveva conoscere Borgo S. Leonardo: a Bergamo ci sarà stato più di una volta perché vi aveva relazioni ed amici. Per chi veniva da Milano il primo impatto con Bergamo non poteva che avvenire nel Borgo di San Leonardo, al quale metteva capo, per la porta di Osio, la strada proveniente dal capoluogo lombardo: donde la prospera esistenza nel Borgo di numerose locande e di osterie. Quando dunque Renzo Tramaglino, dopo le disavventure patite a Milano, passato l’Adda, raggiunge il cugino a Bergamo che lavora in una filanda, Manzoni non può che farlo arrivare alla Roggia Serio di Borgo S. Leonardo: “Arriva al paese del cugino; nell’entrare, anzi prima di mettervi piede, distingue una casa alta alta, a più ordini di finestre lunghe lunghe; riconosce un filatoio, entra, domanda ad alta voce, tra il rumore dell’acqua cadente e delle rote se stia lì un certo Bortolo Castagneri. – Il signor Bortolo? Eccolo là. -“(Cap. XVII).
Il mercoledì mattina, passati i portici di Piazza della Legna e fatti pochi passi in via Broseta, entro nella Chiesa di S. Rocco, dove il prof. mons. Goffredo Zanchi, direttore del Comitato scientifico della Fondazione Giovanni XXIII, di cui anch’io faccio parte, celebra ogni mattina la messa alle 7.30. La Chiesa di San Rocco, tra le più popolari e frequentate piccole chiese della Città, fu costruita nel 1481 in onore del santo taumaturgo invocato contro la peste, flagello che periodicamente, a distanza di trenta quarant’anni, colpiva terribilmente la Città. L’ultima si era avuta nel 1475. Dopo messa prendo col prof. Zanchi, persona affabile, un caffè in Piazza della Legna. Parliamo di storia e di libri. Sto volentieri ad ascoltarlo per la sua straordinaria conoscenza, non partigiana, della storia religiosa di Bergamo, e perché ha sempre qualche buon libro da consigliarmi, l’ultimo Modernità liquida di Zygmunt Bauman (2008). Il prof. Zanchi mantiene oggi viva, con i suoi studi e le sue pubblicazioni, la bella e feconda tradizione di sacerdoti colti del clero bergamasco, colti soprattutto nelle discipline storiche, quali furono, restando al Novecento, Angelo Giuseppe Roncalli, Giuseppe Locatelli, Angelo Meli, Luigi Cortesi, Luigi Chiodi, Roberto Amadei,  Antonio Pesenti.
La settimana scorsa chiesi al professore se mi fosse stato possibile vedere di Gian Paolo Cavagna, pittore che aveva bottega in questo Borgo, il suo capolavoro San Rocco e i disciplini verdi, di proprietà della Chiesa di S. Rocco, dipinto nel 1591, che per motivi di tutela non è esposto nella Chiesa ma conservato al sicuro sotto chiave.
Ieri mattina, con mia grande e felice sorpresa, entrato nella Chiesa vedo che la tela era già stata portata dal solerte e cortese sagrista, sig. Giulio Ceresoli, nel vano antistante la sagrestia, con tanto di lampade su cavalletti che sarebbero servite a illuminare non solo San Rocco e i disciplini verdi, ma anche le altre belle tele di Cavagna che sono nella Chiesa.
Così, finita la messa, bellissima e commovente la lettura di Isaia, ho potuto contemplare nuovamente il capolavoro del pittore bergamasco, che avevo ammirato per la prima volta quattordici anni fa alla bella mostra di Milano Il Cinqucento lombardo, da Leonardo a Caravaggio.
Al centro della scena è s. Rocco che indossa il tradizionale abito del pellegrino ed è accompagnato dal cane fedele che gli porge il pezzo di pane. Anche il cane sta con il suo santo padrone elevato sul piccolo trono, onore per entrambi. Il santo con la mano destra solleva un lembo della tunica per mostrare l’insegna funesta del bubbone pestilenziale. Ai suoi piedi i devoti disciplini, forse membri del Consiglio della Società di S. Rocco istituita nel 1481, invocano inginocchiati il suo aiuto. Il dipinto, che tanto fu apprezzato da Roberto Longhi e Giovanni Testori, è stupefacente per realismo. L’ambientazione, la luce, i gesti, i toni, le espressioni conferiscono naturalità, senso veritiero dell’ora, austera e venerata semplicità a una scena che è sacra non per vana magniloquenza ma per la sua profonda e autentica umanità. Straordinario per acutezza e intensità di sguardo il volto di s. Rocco: si vede che la lezione di Moroni è stata dal Cavagna bene appresa. Un uomo maturo, severo, intelligente, ma anche un poco estrosetto con quel cappello dalle larghe tese calzato alle ventitré, che ci sorprende e ci diverte. Agli occhi dei devoti quel cappello avrà forse dato del santo un’immagine meno gloriosa ma indubbiamente molto più umana, l’immagine di un santo vicino, confidente, vestito come loro dello stesso panno verde. Il colore verde, alquanto inusuale per i disciplini, che di solito vestivano di bianco, è probabilmente in relazione con la presenza sulla Roggia Serio, nei pressi della Chiesa di S. Rocco, di un opificio documentato sin dal 1548, che produceva ed esportava in tutta Italia panni, appunto, di colore verde.
Che spettacolo, e che sorpresa per molti, quando si farà a Bergamo una bella e grande mostra del Cavagna!