19 giugno 2012: Eckhart e il Kant della Critica del giudizio
Pongo una relazione tra le parole che ho lette ieri nei Sermoni di Eckhart e quanto scrive Kant nella Critica del giudizio: “Il giudizio di gusto è puramente contemplativo, è un giudizio che, indifferente riguardo all’esistenza dell’oggetto, ne mette solo a riscontro i caratteri con il sentimento di piacere e dispiacere. Ma questa contemplazione a sua volta non è diretta a concetti, perché il giudizio di gusto non è un giudizio di conoscenza, né teorico né pratico […]. Il piacere del bello è un piacere disinteressato e libero, perché in esso l’approvazione non è imposta da alcun interesse, né dai sensi né dalla ragione […] Nel giudizio d’una bellezza libera il giudizio di gusto è puro. Non è presupposto alcun concetto di scopo, cui debba rispondere il molteplice dell’oggetto dato, e quindi ciò che l’oggetto deve rappresentare: con che sarebbe limitata la libertà dell’immaginazione, la quale in certo modo giuoca nella contemplazione della figura” […]. Nel giudizio di gusto, quando sia puro, il piacere e il dispiacere, senza riguardo all’uso o ad un fine, è legato immediatamente alla semplice contemplazione dell’oggetto”.
Eckhart e Kant. Vedere il cap. “L’esperienza estetica” nel volume-intervista di Paul Ricoeur, La critica e la convinzione. A colloquio con François Azouvi e Marc de Launay, Milano, Jaca Book, 1997 (ediz. orig. 1995), pp. 239-257. alle pp. 255-256: “Domanda a Ricoeur: Di contro, la trasposizione che lei opera, dall’esperienza del bello nella sfera della morale, il valore immenso che lei conferisce alla nozione di testimonianza, tutto ciò non orienta, forse, le sue analisi, in direazione del religioso? Non vorrei avallare una sorta di confisca dell’estetico a opera del religioso. Si può soltanto avanzare l’idea che, rendendo possibile un distacco dall’utilitario in senso stretto, da ciò che è manipolabile, l’arte renda disponibili a tutto un ordine di sentimenti, nel cui seno potrammo emergere sentimenti che si diranno religiosi, quali la venerazione. Fra l’estetico e il religioso, direi che c’è una zona di sconfinamenti piuttosto che una coestensività di ambiti”.