6 giugno 2012: Il discorso di papa Ratzinger agli artisti
Ho letto, lo volevo fare da tempo, il discorso tenuto da papa Benedetto XVI lo scorso anno, il 4 luglio, agli artisti convenuti in Vaticano per l’esposizione Lo splendore della verità, la bellezza della carità allestita in occasione del 60° di sacerdozio del pontefice.
Dopo aver brevemente commentato Efesini 4, 15 e I Corinti 13,1, Benedetto XVI così si è espresso: “Cari amici, vorrei rinnovare a voi e a tutti gli artisti un amichevole e appassionato appello: non scindete mai la creatività artistica dalla verità e dalla carità, non cercate mai la bellezza lontano dalla verità e dalla carità, ma con la ricchezza della vostra genialità, del vostro slancio creativo, siate sempre, con coraggio, cercatori della verità e testimoni della carità; fate risplendere la verità nelle vostre opere e fate in modo che la loro bellezza susciti nello sguardo e nel cuore di chi le ammira il desiderio e il bisogno di rendere bella e viva l’esistenza, ogni esistenza, arricchendola di quel tesoro che non viene mai meno, che fa della vita un capolavoro e di ogni uomo uno straordinario artista: la carità, l’amore. Lo Spirito Santo, artefice di ogni bellezza che è nel mondo, vi illumini sempre e vi guidi verso la Bellezza ultima e definitiva, quella che scalda la nostra mente e il nostro cuore e che attendiamo di poter contemplare un giorno in tutto il suo splendore”.
Parole bellissime, piene di sacro senso, che potrebbero ben servire alla esplicazione dell’opera d’arte come verità, immaginazione, sentimento, e degli effetti che l’opera d’arte procura a chi la contempla, gioia, energia, vivo senso etico dell’esistenza. Resta tuttavia la sensazione di un equivoco di fondo: di quale verità si parla? Della verità ‘propria’ dell’opera d’arte o di una verità ontologica, religiosa nel senso positivo di una verità rivelata. Parliamo di quale bellezza? Della bellezza relativa di ogni opera d’arte o di una bellezza eterna, ultraterrena, di cui le bellezze mondane, e anche quelle artistiche, non sarebbero che un pallido riflesso? L’arte vera è espressione libera e autonoma dello spirito umano, ed è vera nel senso che è espressione verbale o figurativa o plastica di una realtà immaginata e sentita ma sempre concreta, particolare, una realtà che l’artista percepisce e interpreta con intensità e originalità.
L’artista non cerca una verità ideologica o ideale che sta al di fuori o al di sopra del suo oggetto e alla quale l’oggetto dovrebbe servire. L’arte non è una predica, non ha per finalità quella di rendere uno credente o ateo, monarchico o repubblicano. Non esercita coercizioni o persuasioni, non intimidisce, “non forza la gente all’accettazione di un dato complesso di opinioni, in contrasto a un altro dato complesso di opinioni” (Pound). La verità dell’opera d’arte, donde poi anche la sua universalità (Omero, Dante, Shakespeare, Poussin, Rembrandt, Cézanne…), risiede unicamente nella originalità e autenticità dell’espressione (vale a dire senza fronzoli, ridondanze, abbellimenti superflui, stravaganze gratuite, compiacenze eccentriche, secondi fini, ecc.), nell’esattezza e perspicacia di rappresentazione non astratta ma concreta, individuata, di emozioni, di sentimenti del cuore umano. La verità dell’arte così intesa rende interiormente liberi e desiderosi di autenticità di vita (etica dell’esistenza, fare della propria vita un capolavoro…qui dice bene il pontefice) coloro che vi si accostano e ne godono, con intelligenza e con amore.