10 maggio 2012: La focaccia di Ecaméde

Ieri, conducendo la ricerca sul versetto 16 del salmo 68, volendo trovare passi di argomento analogo (formaggio e latticini) nelle letterature antiche, ho letto i versi dell’Iliade, libro XI, 630-631, dove si dice che Ecaméde, schiava di Nestore dai riccioli belli, prepara per gli achei, ritornati alle tende sfiniti dopo l’aspro combattimento, cipolle, miele e farina di sacro orzo.
Mi è venuta l’idea, che non so quanto ‘storicamente’ fondata (il prolisso commento dell’edizione Pléiade non mi ha aiutato), che con questi ingredienti Ecaméde possa aver preparato una sorta di focaccia. E oggi ho voluto fare la prova. Ho cotto le cipolle, poi le ho amalgamate ben bene con il miele, ho aggiunto la farina bianca con poco lievito, ho fatto un bel impasto e l’ho infornato per trenta minuti.
Liliana, tornata dal lavoro verso l’una, voleva subito gustare la strana pietanza appena sfornata. «Che cos’è?» chiede. «Una focaccia fatta con la ricetta di Ecaméde, dai riccioli belli, di cui parla Omero nell’Iliade».
Mia moglie ha avuto un’espressione che non saprei dire se di sbigottimento o di compassione. Ma poi, dopo i primi titubanti assaggi, la focaccia è sparita in un baleno. Gustosissima. E’ solo mancato il vino di Prammo, sul quale, dice Omero, Ecaméde grattuggiò un po’ di cacio pecorino.
La mia focaccia, per essere filologicamente corretta, avrebbe avuto bisogno di cipolle e miele dell’Anatolia (invece ho usato cipolle siciliane e miele della Sardegna), di farina d’orzo (ho invece usato farina di grano) e di un forno a legna.