31 agoto 2014: “Guerra e pace” di Tolstoj
Ho letto Guerra e pace, come mi ero ripromesso il 1° gennaio di quest’anno. Ho aspettato troppi anni a leggere questo incomparabile capolavoro della narrativa russa. Da giovane ho letto molto Dostoevskij, a cominciare dagli anni del liceo con I Fratelli Karamazov, che fu il libro che più di altri segnò gli ideali e le aspirazioni della mia giovinezza. Il giovane novizio Alëša fu per anni il mio eroe.
Mentre Dostoevskij è tutto pensiero dialettico, scontro incontro di idee incarnate in anime in costante tensione, sempre al limite di un’esistenza sospesa tra esasperata ricerca di assoluto e disperata inquietudine, Tolstoj è il geniale creatore di un mondo plastico, epico, oggettivo, naturale. Dostoevskij precipita come un torrente impetuoso, Tolstoj scorre come un largo fiume. Tolstoj rappresenta la vita nella sua pienezza e complessità di manifestazioni e di espressioni. Come i più grandi artisti, ha sguardo universale. Ad ogni pagina il lettore è condotto dal vigore della scrittura, ricca di colore, di immagini, di similitudini, di appropriate considerazioni, a rivivere in sé, se dotato di sensibilità e immaginazione, sentimenti ed emozioni che accompagnano l’infinita varietà dell’agire umano. Tutti i personaggi di Tolstoj, nella condizione di necessità in cui li fissa con estrema chiarezza l’arte del narratore, hanno ragione. Tutti hanno diritto a commuoverci. Lo schema moralistico buoni cattivi, se può valere nella vita, non ha posto in arte. Come capita ogni qual volta ci accostiamo a un grande artista di spirito universalistico, sia egli poeta, scrittore, pittore, musicista, leggendo Tolstoj avvertiamo che in qualche parte della sua opera si parla anche di noi. Questa, tra le altre, è una delle supreme funzioni dell’arte, di svelare noi a noi stessi.
Dei molti pregi della sua narrativa mi colpiscono due in modo particolare: la sapiente capacità di rappresentare con straordinaria verità e brillantezza scene di gruppo, ricevimenti, parate, battaglie, feste, balli, ritrovi, giochi; e la viva raffigurazione di personaggi minori, che prendono poche pagine del romanzo, ma che ci attraggono per qualità e naturalezza. Certo, il principe Andrej e la contessina Nataša restano indimenticabili. Ma provo grande affezione anche per quei personaggi, come il soldato Tušin, la serva Anis’ja, lo zio di Nikolaj, che Tolstoj ci pone sotto gli occhi quali piccole gemme di sincera umanità. Su tutti, con la bellezza che può avere un animo puro, innocente, ingenuo, spicca il contadino soldato Platon Karatev. Onestà di vita, senso d’amore e d’amicizia, generosità d’animo, ideali che sostanziano molte pagine di Guerra e pace, convergono nella creazione di questa eccezionale figura. Poche pagine del romanzo, ma per me le più belle, che sarà bene ogni tanto tornare a leggere.
“Nella baracca dove Pierre era stato portato, e dove avrebbe trascorso quattro settimane, c’erano ventitré soldati, tre ufficiali e due funzionari civili, tutti prigionieri. Ciascuno di costoro, in seguito sarebbe riaffiorato nella memoria di Pierre come attraverso una nebbia: mentre Platon Karataev gli si impresse nella mente e nell’anima come il ricordo più tenace e più caro, come la personificazione di tutto ciò che è di russo, buono e rotondo […]. In ogni sua parola, così come in ogni sua azione, si esprimeva quell’attività a lui stesso ignota che era la sua esistenza. Ma anche la sua vita, per lui, non aveva senso di per se stessa, isolatamente, ma solo come particella di un tutto di cui egli aveva costantemente coscienza. Le sue parole e le sue azioni fluivano dalla sua persona con la stessa regolarità, necessità e immediatezza con cui un fiore esala il suo profumo. Era impossibile, per lui, capire il valore o il significato di un’azione o di una parola considerate come qualcosa a sé stante” (Garzanti 2014, pp. 1175-1178).
In questa essenziale descrizione del contadino Platon non è forse espressa la filosofia di vita sottesa all’intero romanzo?