23 gennaio 2014: Metamorfosi degli spazi in Piazza San Pietro
All’Archivio generale dell’Ordine di Sant’Agostino i documenti utili per la mia ricerca sull’osservanza agostiniana di Lombardia, introdotta nel 1439 da fra Giovanni Rocco da Pavia, sono più numerosi di quanto immaginassi. Le due mezze giornate dedicate alla consultazione delle carte non mi bastano. Dovrò tornare a marzo e fermarmi qui almeno una settimana.
Succede spesso di entrare in un archivio col proposito di risolvere i nostri dubbi e di uscirne con più dubbi di prima. I nuovi dubbi sorti riguardano l’azione di fra Giovanni Rocco una volta nominato provinciale dell’Ordine nel 1440, i modi coi quali è entrato in possesso del Convento di Santa Maria della Cella a Genova nel 1441 o 1442, i suoi rapporti con il convento bergamasco negli anni Quaranta quand’era vicario dell’osservanza, come e perché si stabilisce negli anni Cinquanta nel Monastero Maggiore di S. Maurizio a Milano. Comunque ora devo chiudere il testo che ho promesso già da due mesi agli studenti dell’Università di Bergamo. Sulla base poi di quello che troverò a marzo, metterò in rete una seconda versione.
Mi occupo di queste vicende di frati agostiniani del Quattrocento mosso dall’interesse per i movimenti di riforma, che mi hanno sempre affascinato, di qualsiasi ambito, religioso, morale, scientifico, artistico, politico: studiare le personalità che li promuovono, le difficoltà incontrate, le strategie seguite, i risultati ottenuti, che sono sempre certi e sorprendenti. Posto poi che ogni riforma è spesso una riscoperta di valori antichi, originari, autentici, di cui ci si riappropria, o almeno si tenta di farlo, per contrastare decadenze e conformismi e interessi particolari, studiare questi movimenti è per me una via privilegiata per capire, e fare miei fin dove posso, i valori dell’umanesimo e della libertà, e poi per conciliare dentro di me desiderio di cambiamento e amore per l’antico, rinnovamento e tradizione. Nello specifico caso della riforma dell’Ordine agostiniano, di cui ora mi occupo, conta pure il mio grande amore per s. Agostino e per la lettura delle sue Confessioni, che è per me un testo di continua ispirazione e meditazione.
Uscito dall’Archivio, che è in via Paolo VI, prossimo al colonnato del Bernini, mi avvio verso la Basilica, dove ho l’appuntamento con Liliana nel Museo del tesoro di S. Pietro. Attraverso una piazza irriconoscibile. Da quando i papi sono diventati, negli ultimi anni, un prodotto di consumo di massa, anche Piazza San Pietro ne risente: ovunque massicce transenne verdi, interminabili file di sedie, quattro schermi giganti come quelli che si vedono negli stadi, grossi altoparlanti sulla trabeazione del colonnato, una stazione mobile delle Poste Vaticane vicino a una delle fontane, c’è anche la scritta in inglese Post Office, una tettoia in cima alla scalinata attorniata da un’altra ampia teoria di sedie, un’immensa insegna pubblicitaria della Società ENI; e poi, quello che più mi sorprende è vedere che le colonne del Bernini, dopo quella che chiamano pulizia o restauro, hanno preso un colore chiaro, un beige uniforme, come fossero ora di plastica e non più di travertino. Non è più la mia Piazza di un tempo. Mi ricordo tanti anni fa quando, uscito stanco dalla Biblioteca Vaticana, mi mettevo seduto in cima alla scalinata, e mi godevo questa meravigliosa ellissi unica al mondo, pura e schietta, con il suo bel motivo di bianca raggiera alla pavimentazione.
Tra due colonne del Bernini, a sinistra per chi guarda la Basilica, campeggia un lungo striscione che pubblicizza la mostra di Santiago Calatrava al Braccio di Carlo Magno, che ha per titolo Metamorfosi dello spazio. Perché andare al Braccio di Carlo Magno? E’ qui la mostra, davanti ai nostri occhi la metamorfosi dello spazio.