21 gennaio 2014: Sia maledetto chi chiede soldi per l’acqua
Alla mostra di Carlo Saraceni (1759-1620), allestita splendidamente a Palazzo Venezia e di qualità impeccabile, curata da Giulia Aurigemma e Rossella Vodret, rivediamo con piacere i piccoli rami con paesaggi purissimi, quasi naifs, con scene dalle Metamorfosi di Ovidio, già ammirati alcuni anni fa al Museo di Capodimonte. Prevale in ogni quadretto non la scena del mito ma il paesaggio di raffinato lirismo. Bello il contrasto delle ampie e frondose chiome degli alberi di variata tonalità di verde con il cielo azzurro solcato da cumuli bianchi, tondi come le chiome degli alberi. Piccoli paesaggi che non hanno le atmosfere chiaroscurali di Domenichino, ma un diffuso luminismo, dovuto anche al lucente supporto di rame. Sono cinque le tele per le quali valeva la pena, almeno per me, di venire questa mattina a Palazzo Venezia: Predica di san Carlo durante l’ostensione del Sacro Chiodo, 1613 circa, Roma, San Lorenzo in Lucina, la più bella tela qui in mostra per contrasto avvincente di tre soli colori, rosso, bianco e nero, per naturalismo e vivezza delle espressioni; Martirio di San Lamberto, 1618-1619, Roma, Chiesa di Santa Maria dell’Anima, con il santo vegliardo dagli occhi mansueti e impauriti, che indossa un piviale di preziosi ricami, in testa una mitria bianchissima, circonfuso di luce che viene dal grande libro aperto che sta leggendo, quando d’improvviso sopraggiungono i soldati, nell’oscurità della notte, per assassinarlo proditoriamente; Santa Cecilia e l’angelo, 1610 circa, Roma, Galleria Nazionale di Palazzo Barberini, con una resa delle ampie ali dell’angelo di eccezionale perizia; San Rocco, 1610-1615 circa, Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte, tela restaurata in occasione della mostra: è da accarezzare il cane fedele che con la pagnotta in bocca fissa con occhi apprensivi il volto dello sfortunato padrone (ma il San Rocco della Galleria Doria Pamphilj, non in mostra, mi sembra ancora più bello); Paradiso, 1598-inizio 1600, New York, The Metropolitan Museum of art, del primo periodo romano, una tela smagliante per trionfo del colore, composizione armoniosa, espressioni individuate di ciascun santo, ma si vede che il pittore veneziano non ha ancora assistito alle lezioni di Elsheimer e di Caravaggio.
Nell’atrio della Basilica di San Marco, visitata dopo essere usciti dalla mostra, è un recipiente in pietra di forma cilindrica, sicuramente una fontana, di cui si vedono in alto le tre bocche d’acqua, databile tra XI e XII secolo. Mi ha attratto l’iscrizione che reca incisa. L’imperizia del grammatico che l’ha dettata, che doveva sapere più di volgare che di latino, è pari a quella dello scalpellino. Ho messo fatica, sotto gli occhi curiosi del sagrista di S. Marco, nel leggere l’incisione e non sono certo di avere letto bene. Mi sono intestardito nell’impresa dopo aver compreso, ad una prima, veloce scorsa delle parole rozzamente incise, che dietro si celava un grande pensiero. Il testo incomincia col nome di Johannes presbiter Sancti Marci, sicuramente colui che ha fatto costruire il fonte. Poi continua: “…… rogabit ……sitiente venite bevite istam aquam et si quis de ista aqua pretio tuleri anathema sit”, venite a bere di quest’acqua, e se qualcuno vuol farne commercio sia maledetto, anathema sit.
Immagini: 1: Predica di san Carlo durante l’ostensione del Sacro Chiodo, 1613 circa, Roma, San Lorenzo in Lucina; 2. Recipiente per fontana nell’atrio della Basilica di S. Marco a Roma.