7 gennaio 2014: Al Museo del Duomo di Milano
Dopo anni di chiusura, occorsi per lavori di ristrutturazione e di riallestimento, secondo il progetto dell’architetto Guido Canali, è stato riaperto il Museo del Duomo di Milano negli spazi di Palazzo Reale. Oggi l’abbiamo visitato. Non rientra nella tipologia dei musei che preferisco, che devono avere spazio, aria, luce naturale. Qui gli spazi sono stretti e bui, l’illuminazione affidata ai soli faretti. Mancano poi pannelli illustrativi della storia del Duomo, così come mancano informazioni sull’uso liturgico di molti oggetti esposti. Può darsi che tutte queste notizie siano fornite nell’ audioguida, che non ho preso. Comunque la visita è stata gradevole e istruttiva.
Considerata la rilevanza storica ed ecclesiastica della città, mi aspettavo di vedere molti più oggetti del periodo medievale, anche se i pochi presenti sono di tale valore e magnificenza da bastare a spazzar via l’iniziale delusione. Gravi e consistenti, a partire già dal 1500 con Ludovico il Moro, sono state le dispersioni del tesoro, che contava all’origine cospicue donazioni addirittura di Carlo Magno e del figlio Ludovico il Pio.
La coperta di Evangelario, fine sec. V, in avorio, con deliziose scene della vita di Gesù, testimoni della continuità del linguaggio figurativo latino nella nuova cultura cristiana, ha nel riquadro in alto a sinistra l’Angelo che appare a Maria mentre attinge l’acqua con la brocca ad una fonte. Il soggetto, reso con vivace naturalezza, e che avrà in seguito poca o nulla fortuna, è preso dai Vangeli aprocrifi (Protovangelo di Giacomo XI, 1).
Nella decorazione dell’elegante situla di Gotofredo, anch’essa in avorio, bottega milanese del sec. X, si vedono gli evangelisti seduti al leggio sul quale sta il libro aperto. Soggetti ripetuti per secoli. Quello che mi ha colpito è la forma del leggio, regolabile in altezza mediante un supporto a spirale avvitabile. Non ne ho mai visti di simili nelle miniature coeve. O finora non ho osservato bene i leggii degli evangelisti?
Le coperte dell’Evangelario di Ariberto, 1018-1026, meravigliose, sono un incanto per gli occhi: oro in lastra e in getto, filigrana d’oro, smalti, perle naturali, vetri artificiali, granati, zaffiri, turchesi, smeraldi, cristallo di rocca, agate, quarzi, ametiste, paste vitree, gemme. Ho voluto copiare tutta la descrizione recata nella didascalia, per prolungare nel suono e nella scrittura di queste belle e inusitate parole il fascino delle cose denotate. Alla coperta anteriore, sopra il Cristo, la legenda “Lux mundi”; alla coperta posteriore “Lex et pax”. Parole sante.
Nella parte bassa del braccio verticale della Croce di Chiaravalle, Venezia, fine sec. XIII, argento, è la figura di un vegliardo che pare reggere in mano un pane. Può essere il sacerdote Melchisedek (Gn. 14,18-20)? Non sono certo. La didascalia non dice nulla. Se fosse Melchisedek l’intenzione iconografica dell’artista e dei suoi committenti sarebbe stata quella di collegare il sacrificio della Croce alla memoria eucaristica.
Calici di altissima qualità. Notato il passaggio, anche nei calici, dal gusto rinascimentale a quello barocco, tra Cinquecento e Seicento.
In una sala molto suggestiva sono esposte le vetrate quattrocentesche. Liliana è rimasta affascinata da questa sala, che è quella piaciuta di più. Lunga sosta. Bellissimo il S. Giovanni evangelista a Patmos, seduto per terra, rannicchiato, immerso nella lettura. Orazio avrebbe detto molto correttamente: “Contractusque leget” Epist. I, 7, 10. Colori nitidi, saturi: verdi, blu, gialli, rossi, colori primari accostati con armonia. Sul fondo un paesaggio con colline e alberi. Per terra, vicino all’evangelista, tre libri, uno sopra l’altro, con coperte di smaglianti colori, blu, rosso, verde, e il taglio giallo oro. Mi piacerebbe avere un’immagine ad alta definizione di questi tre fantastici libri.
Nelle sale degli arazzi, ammiratissimo quello di Bruxelles, circa 1550, con l’Adorazione dei Magi, trama di lana, seta e oro, dono del card. Carlo Borromeo. Gli oggetti donati dal santo cardinale sono i più belli del Museo. Per qualità e fattura questo arazzo sta alla pari con quelli del card. Madruzzo al Museo d’arte sacra di Trento, visti qualche anno fa rimanendone anche allora incantato. Mentre i Re Magi offrono i loro doni a Gesù Bambino, s. Giuseppe non c’è. Ha condotto il bue e l’asino all’abbeverata. Non ho mai visto prima d’ora un tale soggetto, sorprendente per l’iconografia consueta dell’Adorazione dei Magi, ma naturale se pensiamo alle esigenze delle due povere bestie. Bravo s. Giuseppe. Nella parte bassa dello stesso arazzo, dove sono raffigurati erbe e fiori con fili verdi e d’oro, è un fiore di trifoglio (Trifolium pratense), simile a quello che compare nel prato paradisiaco del polittico di Gentile da Fabriano a Brera. Ovviamente nessun rapporto diretto. La scena singolare di s. Giuseppe e questo fiore stanno tuttavia a indicare come nell’arazzeria del Nord, pure ormai influenzata da forme manieristiche, sopravviva a lungo un gusto tardogotico per la curiosità della scena aneddotica e per la preziosità della notazione naturalistica.
Una sorpresa piacevole i bozzetti in terracotta di Giovan Pietro Lasagna e di Giovanni Andrea Biffi, anni Venti del Seicento, per gli altorilievi che sono sulla facciata del Duomo, con storie di donne eroine dell’Antico Testamento. Li trovo superiori alle tele del Cerano, esposte accanto; e, come spesso capita coi bozzetti, superiori, per movimento e forma, anche all’opera compiuta in marmo sulla facciata, andati subito a vedere non appena usciti dal Museo.
Al termine del percorso espositivo, prima delle formelle di Lucio Fontana per la porta del Duomo, è l’armatura (sec. XVIII) della Madonnina in lamina dorata che sta sulla guglia più alta del Duomo, e che, a prima vista, abbiamo creduto fosse una scultura contemporanea.
Armatura della Madonnina del Duomo di Milano, sec. XVIII.