30 novembre 2013: La Basilica di Saint-Denis, l’abate Sugerio, una donna che legge.
Sono sorpreso nel vedere che vicino alla Basilica di Saint-Denis, una delle più celebri chiese gotiche d’Occidente, monumento simbolo della storia di Francia, sorgono edifici moderni, tanto brutti quanto poco rispettosi del valore storico del luogo. In compenso, fa piacere vedere che la Basilica è sottoposta a un imponente lavoro di restauro. La facciata è ancora quasi tutta coperta dai ponteggi, mentre all’interno i lavori sono pressoché ultimati.
Ci aggiriamo nel transetto tra le bianche tombe dei re di Francia, trovando che quelle medievali, di severa sobrietà, sono sempre le più belle. Scesi nella cripta, fredda e buia, osserviamo i capitelli delle esili colonne recanti scolpite originali e immaginifiche storie di s. Benedetto. Spiritosa questa in cui si vede s. Benedetto che bastona il demonio, un mostruoso bambino nero, impadronitosi del monaco Mauro. Ammiriamo le splendide vetrate che sono alle cappelle dell’elegante deambulatorio, fatto costruire dall’intraprendente e colto abate Sugerio tra gli anni 1127-1140.
Muoversi lentamente e meditabondi nello spazio sublime di una cattedrale gotica è un’esperienza di viva emozione e di grata meraviglia. Si sente dentro quell’energico espandersi di sé mentre con gli occhi seguiamo l’innalzarsi potente e vertiginoso delle pareti, dei pilastri, delle volte, la ramificazione di agili e snelle nervature, avvolti nella luce misteriosa che viene dalle ampie vetrate colorate, luce unica di questo spazio unico, prodigiosa creazione della nostra Europa, della nostra veneranda religione.
Modo migliore per prepararsi alla visita di Saint-Denis è di leggere tre testi: le due operette dell’abate Sugerio (o Sigiero): Liber de rebus in administratione sua gestis; Libellus de consacratione ecclesiae Sancti Dionysii; e la Vita Sugerii abbatis di Guglielmo da Saint-Denis, testi editi nel vol. 186 della Patrologia latina, Edizione Migne (1892), i primi due ora disponibili anche in traduzione italiana, La consacrazione di S. Denis. L’opera amministrativa, a cura di Tullia Angino, Milano, Edizioni Archivio Dedalus, 2011. Tre testi bellissimi, che ci mettono davanti agli occhi, con grande effetto, la nobile e suggestiva figura dell’abate Sugerio, amante del decoro e delle cose belle, mentre è tutto dedito alla ideazione e al coordinamento dei lavori di ampliamento e abbellimento (“incomparabile ornamentum”, col. 1233) della Basilica avviati nel 1227: la ricerca dei marmi, delle pietre, del legname, il trasporto dei materiali a Saint-Denis, la realizzazione in facciata delle due torri e delle porte con bassorilievi dorati affidati a scultori eletti (“electis sculptoribus”, col. 1228), la costruzione del deambulatorio, la colorazione delle vetrate eseguita dai migliori pittori fatti venire da diverse nazioni (“magistrorum multorum de diversis nationibus manu exquisita”, col. 1237), l’erezione degli altari decorati con paliotti d’oro, argento e gemme preziose. Lega le pagine di questi testi un filo ideale, costituito dalla concezione estetica dell’abate Sugerio, di impronta più plotiniana che platonica, messa in luce e studiata da Erwin Panofsky in Abbot Suger on the Abbey Church of St. Denis and its art treasures, Princeton 1946. Concezione che vedo bene espressa in questo passo di Sugerio: “Unde cum ex dilectione decoris domus Dei aliquando multicolor gemmarum speciositas ab exintrinsecis me curis devocaret, sanctarum etiam diversitatem virtutum de materialibus ad immaterialia transferendo, honesta meditatio insistere persuaderet; videor videre me quasi sub aliqua extranea orbis terrarum plaga, quae nec tota sit in terrarum faece, nec tota in coeli puritate demorari, ab hac etiam inferiori ad illam superiorem anagogico more Deo donante posse transferri” (coll. 1233-1234). La bellezza non è solo nelle proporzioni o nell’imitazione della natura, come ritenevano gli antichi, ma anche e soprattutto nell’ornato, nella “venustas”, quindi nella capacità immaginativa dell’artista che opera con “manu exquisita”. La luce, l’oro e l’argento lavorati, le vetrate multicolori, la preziosità e la bellezza delle gemme sono i simboli del valore artistico. Immersi nell’atmosfera di questo “incomparabile ornamentum”, ci sentiamo come in un mondo estraneo, che non è tutto di questa terra e nemmeno tutto della purezza del cielo, ci sentiamo come trascinati fuori, trasferiti altrove (“transferendo…transferri”), come elevati da una realtà materiale ad una immateriale, superiore. Non è forse la sensazione che proviamo sempre di fronte ad ogni bellezza naturale, ad ogni capolavoro d’arte?
La facciata della Basilica è quasi ancora interamente coperta dai ponteggi. E’ libero solo il portale meridionale, che fu costruito nel corso dei lavori intrapresi dall’Abate Sugerio nel 1127 (“necnon et alias [valvas] in dextera parte novas”, col. 1228).
Gli stipiti del portale sono decorati con tondi scolpiti che raffigurano il ciclo dei mesi. Si tratta di una delle prime testimonianze medievali della raffigurazione scultorea dei mesi. Il primo fregio scolpito con la raffigurazione dei mesi è quello della porta settentrionale della cattedrale di Santiago di Compostela, 1105-1110. Seguiranno nei decenni seguenti i cicli di Vézelay, 1120; Autun, 1130; Chartres, 1145-1155; mentre in Italia, dopo quello di Wiligelmo a Modena della prima metà del XII sec., abbiamo il ciclo dei mesi del mosaico di Otranto, 1163-1165; dell’Antelami a Parma, circa 1220; poi quelli di Cremona, Venezia, Lucca, Fidenza, Perugia (“Mesi”, voce dell’Enciclopedia dell’Arte Medievale, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1997, vol. VIII, pp. 325-335).
In questi cicli, i mesi dell’anno sono individuati attraverso il susseguirsi dei segni zodiacali e delle corrispondenti attività ritenute specifiche di ciascun mese, che variano, ma di poco, da regione a regione. Le attività dei mesi sono raffigurate con vivaci scene di potatura, semina, raccolto, vendemmia, allevamento, uccisione del maiale. Il prevalere in queste raffigurazioni, scolpite o miniate che fossero, del gusto per il dettagio aneddotico e per l’azione ha indotto gli storici ad affermare che esse furono uno dei principali mezzi di conquista del realismo nell’arte occidentale.
Nelle raffigurazioni che contraddistinguono i singoli mesi, se ne individuano, nella maggioranza dei casi, dieci che illustrano attività legate ai lavori della terra e dell’allevamento, praticate dal ceto popolare e contadino; e due riservate all’aristocrazia o comunque a persone di classe economica e sociale elevata: i cavalieri a maggio, il signore seduto al fuoco a gennaio.
Ora, nello stipite destro del portale meridionale della Basilica di Saint-Denis, proprio all’atezza degli occhi di chi entra nella chiesa, si vede la scultura del mese di gennaio. Gennaio, a partire dall’arazzo di Girona del 1100 circa (Tapiz de la Creacion, Museo della Cattedrale), è sempre raffigurato come un signore ben vestito e col capo coperto, che si scalda al fuoco. La scena conosce diverse varianti. Prevale quella del signore che tiene in mano una coppa di vino. La fonte è antichissima, già Alceo: “Tieni indietro l’inverno, aggiungendo fuoco, e mescendo in abbondanza vino di miele, poi sopra le tempie morbida cingi all’intorno lana” (framm. 338 V.). Ma anche Orazio, Odi I, 9, 11; Ovidio, Fasti I, 63ss. Sulla facciata del Duomo di Cremona, oltre al signore che beve seduto al fuoco, si vedono anche filze di salsicce appese ad asciugare vicino al camino. Siamo nella terra di gustosi insaccati, ancora oggi tra i più pregiati. Nella Fontana Maggiore di Perugia, 1275-1278, Gennaio è raffigurato da una figura maschile e una femminile riccamente abbigliati che si scaldano al fuoco: l’uomo regge una coppa e un piatto con selvaggina, la donna la brocca del vino e due focacce rotonde schiacciate.
Qui, nella Basilica di Saint-Denis, Gennaio è raffigurato da una figura maschile che con le molle muove i tizzoni per ravvivare il fuco e una figura femminile che gli siede davanti, intenta nella lettura. Scena singolarissima. Non conosco, dell’età medievale, prima di questa piccola scultura un’altra immagine di donna che legge, se prescindiamo dalle figure allegoriche della Grammatica, Dialettica e Logica solitamente figure femminili con libro in mano. Ma qui non è allegoria, è momento di vita quotidiana, naturale, di una coppia aristocratica del XII secolo.
Che cosa avrà letto la nostra dama nelle lunghe sere invernali seduta al fuoco, elemento di unità domestica, accanto al suo signore, magari ad alta voce così che lui pure sentisse? A giudicare dal piccolo formato del libro, poteva trattarsi di un libro d’ore, di un libro di devozioni, della vita di qualche santo. Ma anche, ed è più probabile, di qualche nuovo romanzo alla moda, di cui ci parla Régine Pernoud nel suo bel libro La donna al tempo delle cattedrali, Milano, Rizzoli, 1982 (ediz. orig. 1980), in particolare alle pp. 60-70: testi di narratori e poeti del XII sec. nei quali erano vantate le qualità intellettuali delle donne aristocratiche e di corte, donne che leggevano e scrivevano. Una canzone di inizio sec. XII comincia con questi versi “Belle Doëtte as fenêtre se sied, lit en un libre, mais au coeur ne l’en tient”.
Scrive Jacques Le Goff: “Fra i problemi posti da questa letteratura [poesia e romanzi cortesi in volgare], il più appassionante per lo storico è senza dubbio quello relativo alla natura dell’amore cortese e all’importanza della donna. Si intuisce come, prima ancora delle crociate, si sia prodotta in Occidente un’emancipazione della donna; soprattutto della donna di famiglia nobile, poiché grande è l’importanza della donna nei lignaggi, nelle parentele fondate sui vincoli di sangue. Circondate di ecclesiastici, queste donne che vegliano sull’educazione dei bambini nei loro primi anni favoriscono un addolcirsi dei costumi e consolidano la propria influenza sugli uomini dell’aristrocrazia militare” (Il Basso Medioevo, Milano, Feltrinelli Editore, 1967, pp. 188-189, ediz. orig. 1965).
L’album della lunga storia dell’emancipazione femminile deve recare in una delle sue prime pagine l’immagine di questa donna lettrice del XII secolo.